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       "L'ATOMO SELVAGGIO 20 ANNI DOPO..." ,ïðîäîëæåíèå ïåðåâîäà êíèãè

       Una vita distrutta
 
       “IL COMPITO DELL’UOMO ; aiutare gli altri: questo ; il mio fermo
l’insegnamento, questo ; il mio messagio, questa ; la mia personale con
vinzione.
       E’ fondamentale creare migliori relazioni tra esseri umani e dare il
proprio personale contributo a questo scopo.”
       DALAY LAMA – XIV
 
       Negli ultimi anni, tra gli ucraini trasferiti obbligatoriamente nelle altre regio-ni, ; molto diffusa la tendenza di seppelire i loro morti nel luoghi d’origine. Morendo, la gente chiede come ultimo desiderio, di portare le proprie spoglie nella loro “piccola Patria” dalle quale li hanno portati via per sempre dopo l’esplosione della Centrale di Chernobyl e per quale soffrono fino all’ultimo battito i loro cuori.

       Dalle varie province, citt; e villaggi dell’Ucraina, in diverse staggioni percor-rono la loro ultima strada terrestre verso Chernobyl, originariamente l’antico Poles’e (Polissja – ucr.), uno dei luoghi europei dove da 25 a 30 mila anni fa (cio;, durante e subito dopo l’era glaciale) si stabilirono le prime trib; di esseri umani.

       ...Seguono silenziosi e afflitti il corteo funebre dei loro morti. Calano le loro salme senza le omelie e orazioni. Nei loro occhi si legge la domanda: “ci riusciremo a venire ancora qualche volta a trovare i nostri cari sepolti?..”
       I cimiteri, nella Zona chiusa di Chernobyl e nella Zona di trasferimento obbliga-torio, sono molto contaminati perch; si trovano tra le boscaglia con alberi molto alti. E per questo hanno un grado di contaminazione tra pi; alti perch; i cimitteri in Poles’e sono situati in luoghi elevati a causa dell’acqua del sottosuolo, che ; molto vicina alla superficie del terreno.
       Non servono dati statistici per capire quante morti ci sono state fra gli abitanti dei villaggi circostanti, anche se allontantanati dalla SNdC e dalle citt; di Chernobyl e Pripiat’. Il loro numero ; uguale, se non pi; grande, delle morti tra gli liquidatori, perch; l’evacuazione ; iniziata una settimana dopo l’esplosione.
 
       Pian piano, studiando la pericolosit; mortale della radioattivit; fuoriuscita e
rendendosi finalmente conto della vasta scala del disastro nucleare, i responsabili de
terminarono i contorni delle aree pericolose:
– il 1 cerchio – fino a 3 km di distanza della Centrale;
– il 2 cerchio – fino a 10 km;
– il 3 cerchio – fino a 30 km.

       Le aree circoscritte in questi tre cerchi furono denominate
       Zona Chiusa e Zona Interdetta.
 
       Queste aree sono in Ucraina e nella Bielorussia. Dalla parte dell’Ucraina l’area
recintata con filo spinato per tutto il suo perimetro, dalla parte della Belarus’ solo
parzialmente.
       L’evacuazione degli abitanti di questa zona molto contaminata ; cominciato, come gi; detto, fra una settimana dopo l’esplosione. Prima non furono neanche infor-mati del pericolo esistente. Perci;, per una settimana intera, i contadini continuarono la loro vita: lavoravano i campi, gli orti, i prati e allevando il loro bestiame.
       Si nutrirono con la verdura degli orti aperti, la carne del pollame da cortile, il latte prodotto dalle mucche che pascolavano nei prati. Cio;, migliaia di persone per colpa di Enti statali di URSS furono abbandonati in un ambiente contaminato e con cibo avvelenato dai radionuclidi. Quanti di loro furono irradiati durante questo perio-do, nessuno lo ha mai detto.
 
       Pi; tardi, durante il primo periodo di sgombero, a fianco della gente disperata che doveva lasciare le loro case, i loro animali e tutti i loro beni materiali, lavoravano anche migliaia di liquidatori. Squadre di pompieri e disattivatori, militari e civili, sen-za sosta procedettero al lavaggio del teritorio contaminato. Le case private, gli edifici pubblici gli l’alberi, le strade etc. Squadre di tecnici con pale meccaniche toglievano lo strato superiore di terra ed asfalto e seppelliva. Ma sfortunatamente tutto questo faticoso lavoro in un ambiente troppo irradiato, non ha portato a buoni risultati, ed ; arrivata la decisione di distruggere molte case con tutto il loro contenuto. Nel tragico momento non esisteva l’altra via d’uscita.
       Quanta di questa gente fu contaminata durante il loro lavoro, nessuno lo ha mai
detto. Inoltre, quando l’Unione Sovietica, grazie all’influenza dell’opinione pubblica
mondiale ha cominciato di alzare un po’ l’assurdo sipario del segreto di Chernobyl, e riconoscere il fatto inconfutabile dell’intossicazione di milioni persone, molti tra loro non c’era pi; tra i vivi.

       “Dal 1991 la mortalit; della popolazione in Ucraina supera le nascite. Nelle zone inquinate i cambiamenti negativi sono accaduti un anno prima e sono maggiormente avvertiti. Secondo i dati generali del Centro scientifico di medicina radioattiva del Ministero della Sanit; dell’Ucraina, per quanto riguarda le vittime, che sono sotto controllo medico nelle istituzioni di cura preventiva del sistema del Ministero della Sanita, dal 1987 al 2004 sono morti 504. 117 persone, tra quali 497. 348 adulti e adole-scenti (di questi 34. 499 erano operai che hanno lavorato nella Centrale a sequito della cfnfstrofe) e 6.769 sono bambini".

       Le misurazioni successive testimoniavano gli altissimi livelli dell’irradiazione
anche fuori della Zona dei 30 km. Cominci; quindi l’evacuazione delle persone (e
del bestiame, al contrario degli primi mesi, quando gli animali contaminati furono lasciati nella Zona Chiusa) dagli spazi immensi dell’Ucraina, della Russia e della Bielorussia.
       Alla fine del settembre di 1986, 116 000 persone, non solo ex-abitanti delle citt; Chernobyl e Pripiat’ ma anche di altri 188 centri abitati, dovettero abbandonare per sempre le loro case e tutto ci; che avevano accumulato di generazione in generazione, e furono destinati un futuro martoriato e sofferente. In tutto in Ucraina sono state coinvolte 2. 218 citta e villaggi con circa 2, 6 milioni di abitanti.

 
       Cosa abbiamo saputo noi, cittadini di altre province e regioni dell’Ucraina, lontani di Chernobyl?

       Posso rispondere a questa domanda con una frase sola: “Non di pi; di quello che hanno saputo all’estero del disastro nucleare di Chernobyl, forse anche meno...”
       Ma io vorrei dare una descrizione e una testimonianza pi; voluminosa di quel periodo storico.
       Il 1986, ero il momento di avvicinamento, conseguenza inevitabile del crollo dell’ordinamento sociale comunista. Un periodo, durante il quale i cosidetti “granai statali” (in senso di riserve di generi alimentari) chiss; perch; considerati sempre inesauribili, risultarono vuoti. E alcuni politici ed economisti, che avevano capito l’assenza di un futuro del regime esistente, presero coscienza, per prevenire la carestia e salvare un popolo caduto in miseria pu; solo il popolo stesso.
       Applicando un noto proverbio “La salvezza a chi sta annegando ; nel mani degli stessi annegati”, leader politici, Enti e strutture amministrative statali, iniziarono una campania senza precedenti nel regime sovietico: mettere a disposizione dei cittadini, (provvisoriamente ma per tempi indeterminato) piccoli apprezzamenti di terreno – 6 centesimi di ettaro – per coltivare, piantare l’orti e giardini. Cio;, per consentire alle famiglie di produrre con le proprie mani, nel tempo libero, il necessario al proprio fabbisogno alimentare.
       Ci; ha rallegrato la popolazione che dall’epoca della rivoluzione socialista di 1917 non ha mai avuto la possibilit; di possedere un terreno, perch; tutto apparteneva allo Stato, e subito si sono messi in fila. Era un’abitudine di anni e anni, quando in un Paese enorme, nonostante che lavoravano tutti, mancava di tutto: vestiti, generi di prima necessit;, alimentari, elettrodomestici, case popolari e cosi via. Le lunge code nell’ex-Unione Sovietica erano sulla bocca di tutti e negli aneddoti in tutto il Mondo.
       ...Si misero in coda, per ottenere un pezzo della terra promessa, sopratutto giova-ni e pensionati, perch; queste categorie sono sempre state le meno protette e perch;, nonostante una lunga esistenza da nullatenenti, (l’ideologia sovietica inculcava nella testa di generazioni e generazioni la formule del “proletario indigente”), il popolo multinazionale sovietico non dimentica un altra formula umana antica ed importan-tissima:

       “Il dovere dell’Uomo ; costruire una casa, far nascere un bambino e piantare un albero”.

       Chi voleva di liberarsi dalle code umilianti (per ottenere, per esempio, un pezzo di mortadella o di burro o qualche chilo di patate) e chi desiderava mantenere il suo dovere terrestro, appena ottenuto il terreno, subito cominciava a modellare una ca-panna. Ma c’erano regole molro rigide da rispettare: la grandezza delle capanne non doveva a superarla 2x2 metri quadrati. E anche la parola “casa” era esclusa dalla do-cumentazione ufficiale. Le costruzioni si chiamavano “rifugi per gli attrezzi agricoli”. Cio;, era vietato costruire edifici con mura e fondamenti.
       Figuriamoci!
       La gente di riffa o di raffa ottenuto il terreno, non solo lo coltivava, ma comincia-va immediatamente costruirsi la casa, seguendo delle regole spesso molto lontane da quelle prescritte dell’autorit; amministrativa.
       Per un Paese occidentale non ; facile capire queste situazioni.. Ma io vi assicuro che la vita in URSS era legata a delle assurdit;, che costringevano anche la gente onesta e rispettosa della legge, ad andare talvolta contro corrente. Per esempio, un cit-tadino che voleva costruire un edificio nel suo terreno poteva di comperare i materiali e costruzioni edili. Ma nei negozi di quel periodo, non c’era assolutamente niente! Ne cemento, ne mattoni, ne legname, ne materiale da rivestimento etc. Eppure lo Stato aveva il monopolio per l’edilizia, per la terra, e l’esclusiva del commercio e cosi via.
       Per cui la gente, non avendo la possibilit; di comprare legittimamente le cose utili, cercava altre strade con pagamenti e regali che finivano nelle mani dei funzionario corrotti.
       Ma la gente, nonostante tutte i lati negative, costruiva le loro “castelli”.

       Per esempio, in mia citt;, dove l’eta media dei cittadini a quell’epoca era circa 30 anni, e dove una met; dell’abitanti c’erano bambini; in citt; giovanissima – fondata in 1961 mezzo alla steppa sabbiosa sulla riva del grande fiume Dnepr (Dnipro – ucr.) dopo un ritrovamento nelle viscere della terra giacimento di minerale di ferro e costru-zione di una miniera a cielo aperto, molte cittadini, la maggioranza dei quali lavorava a turno nella miniera e nel complesso industriale adiacente di arricchimento del mine-rale, hanno lasciato a poco i loro divertimenti romantici con le barce, la pesca, le notti sulle isole di Dnepr e sulle rive boscose del Psel, dicendo, in modo scherzo: “Siamo fuggiti rapidamente verso le dacia”.

       Proprio cosi “d;cia” hanno nominato piccole terreni individuali, nobilitati con grandi sforzi e tanta fatica manuale. Perch; la mia citt; era circondata non della famo-sa terra nera, ma da terreni paludosi, sassosi, salini; insomma non fertili e non adatti per l’edilizia civile ed industriale.
       Magari per questa causa o forse per il progressivo entusiasmo della giovent; che non solo costruiva la citt; e l’azienda principale, dove in tempi di pieno ritmo dell’at-tivit; lavoravano 12. 000 persone, ma anche partecipava alla vita amministrativa, il processo di sviluppo delle dacie ; cominciato all’incirca nel 1982.
       Dopo qualche staggione la citta giovane e sabbiosa, era gi; circondata da grandi estenzioni di giardini, di frutteti e numerose capanne. Nonostante la proibizione, le casupole diventarono sempre pi; grandi: sia per il perimetro che per l’altezza. In so-stanza la gente costruiva dei veri cottage di due o tre piani, allargando in tante modi anche i terreni.
       Veramente, non di tutto filavo liscio. Ma se nelle altre citt; vicine gli abusivi furono processati, nella mia citt;, sotto la pressione dall’alto, fu ordinato solo l’eliminazione dei secondi e dei terzi piani nelle dacie.
       Cosa che fecero con le proprie mani gli irregolari.
       Spesso – con le lacrime agli occhi.
       Perch; nelle dacie ci mettevano non solo tanta fatica manuale, il loro stipendio e tutto il tempo libero.
       Nella costruzione della dacia, la gente investiva l’anima e il cuore, entusiasmati della gioia di creazione.
       Della gioia del lavoro volontario. Non obbligatorio.

       Anch’io appartenevo alla cateqoria dei d;cniki-entusiasti. (“d;cia” ; un terreno e una casotta o cottaggio. “D;cnik”(sing.) ; l’uomo: o propietario o l’ospite nella d;cia. “D;cniki” – (plurale).

       Solo che non sono rimasta nella fila. Avevo trovato l’altra soluzione. Abbiamo unito le forze di 4 famiglie, amici e conoscenti, e siamo riusciti a sistemare un ter-reno per le dacie un po’ lontano dalla citta, ma proprio sulla riva del fiume Dnepr.
       Abbiamo portato sulla costiera paludosa una quantit; pazzesca di camion carichi di sassi dalla miniera, poi uno strato di sabbia circa un metro di spessore, poi tonellate di terra nera... Come abbiamo imparato successivamente, dovevamo mettere anche una falda d’argilla tra la sabbia e la terra nera per fermare l’acqua, che, in seguito ci faceva sprofondare nella sabbia come fosse un setaccio.
       Eravamo ancora giovani, tra 27 e i 33 anni d’et; ed eravamo gi; laureati e avevamo figli, cosa normale in Ucraina per questa et;; ma senza alcun esperienza nel campo dell’agricoltura. Tra noi cerano due medici: un endocrinologo e una terapeuta; tre ingenieri del settori energetico e mechanico; una commercialista, e due impiegati amministrativi.
       Alla fine della sistemazione, abbiamo ottenuto il pezzo di terra di 45 centesimo
di ettaro. Dividendo fraternamente lo spazio, abbiamo cominciato la gestione con
tanta voglia e tanta cura. Siamo riusciti anche registrare ufficialmente le nostre d;cie
illegali.
       Sto raccontando questa storia personale per sottolineare che l; dove si chiudono le strade legittime, si trovano sempre i modi per seguire vie illecite. Vie, che di solito non portano niente di buono ne per lo Stato, ne per il popolo, n; sul piano umano o materiale.
       Sempre di corsa, studiando i primi rudimenti dell’agricoltura, dedicavamo per le
d;cie tutto il tempo disponibile. Cercando dapertutto le sementi dei fiori e della ver
dura (ricordate, che nei negozi a quel tempi non c’era niente?..) e le piantine da mettere a dimora. Nel primi anni abbiamo piantato alcune alberelli di prungne, di mele e pere silvestri e, applicando i metodi di miglioramento delle piante selvatiche, ottennemmo ricchissimi raccolti.
       Con tanta gioia e stupore osservavamo la crescita delle piante, e il rimboschimen-to ottenuto con il proprio lavoro. Con tanto piacere, offrivamo il raccolto agli amici e ai vicini.

       I due motoscafi, che possedeva la mia famiglia per il divertimento e lo sport acquatico sul Dnepr e sul Psel, furono messi da parte senza rammarico per potersi dedicare totalmente alla dacia.



       Il 26 aprile 1986, sabato.
       Io, con i miei figli adolescenti, come al solito, andammo alla nostra dacia. Non
c’era niente di particolare nell’aria. Io non avevo sentito niente novit; in questo giorno: ne la radio, che eravamo abituati a non spegnere mai, ne gli amici.

       Splendeva il sole raggiante.
       Allegramente volavano e cantavano numerosi uccelli, impegnati delle loro premu-re primaverili: cinciallegre, passerotti, colombi, tortorelle, merli, uccelli delle canne.
       Graziosamente si muovono nel cielo azzurro i gabbiani bianco-grigi.
       Rumoreggiava un lieve venticello sulla criniera densa delle canne dell’anno precedente, che come un muro, separava la d;cia dal Dnepr.
       Rumorosamente guizzavano i pesci nell’ansa poco profonda che l’incorniciava la d;cia, destando le estasiatiche esclamazioni del figlio maschio: “Oh! Sicuramente ; un luccio! E questo?.. E’ evidente che ; una carpa a specchi! Avete visto, che coda che ha?!” Saltellando correva sul sentiero, che divideva il terreno in due, gi; nell’ansa, dove era sistemato un grosso sasso di granito, di pi; di un metro di diametro, posizio-nato proprio l; durante la costruzione della dacia.
       Questa piattaforma sull’acqua era come una cilegina sulla torta della dacia. Sempre diversa nei giochi di corrente, sempre contornata da trote di pesciolini, sem-pre attraente per i visitatori...

       Lavorando nell’orto, ero rasserenata dal vociare allegro dei bambini che traffi
cavano sulle proprie aiuole. (Nella mia famiglia, dopo la sistemazione del terreno, abbiamo imposto una regola: ogni staggione estiva i bambini avevano a disposizione una loro piccole aiuola. Dove loro potevano piantare e seminare qualsiasi cosa ma erano anche responsabili della cura delle loro piante. Cosi loro dedicavano un po’ di
tempo per diserbare ed inaffiare i loro “orti” e contemporaneamente imparavano a
conoscere l’agricoltura).

       Il fogliame appena sbocciato sulle piante e sul cespugli, in quello dolce giorno, allietava la vista e il cuore. Portava la pace nell’anima anche la costruzione della casa. Una vera villetta in tre piani con garage sotto, affaciata alla fiume.
       Nient’affatto le grigie costruzioni dello standard statale.
       Il desiderio di possedere un proprio nido con un giardino, (anche se avevamo
gi; l’appartamento nelle case popolari statali); la voglia di soggiornare con le figlie in campagnia, e non nelle poco spaziose cellule delle rumorose e sovrapopolate case a molti piani, era molto forte. Molta gente, in quello periodo, non voleva pi; inchinarsi alle ingiustizie e rischiava, o andava contro corrente, costruendo ville e cottage come
le pareva e piaceva, e come permettevano le loro finanze e i “legami utili”, con le
autorit;...


       ...Improvvisamente ; arrivata una nuvoletta e dalla volta celeste cominci; a cade-re una pioggerellina fitto fitto. Pioggia e sole.
       “Bambini! Subito sotto il tetto!” li invitai, e quando loro, ubbidienti, si dettero alla fuga, rimasi sola sotto la pioggia per finire il mio lavoro. Allegramente pensando che la pioggia era arivata al momento giusto! Perch; non era pi; necessario inaffiare tutto ci; che avevo seminato quel giorno.
       “Che fortuna!” pensavo. “Com’; bella questa pioggia, cosi fitta, silenziosa, calda. Sotto i raggi di Sole... Proprio bello!”

       E la pioggia, improvvisamente, come era venuta, si esauri.
       La natura rinfrescata era diventata ancora pi; verde e risplendeva al sole. Il corale meraviglioso, cinguettino degli uccelli risuonava ancora pi; forte.
       La domenica, come il sabato precedente, rimannemo ancora tranquillamente alla dacia. La radio trasmetteva nel solito modo: mezz’ora o 40 minuti di musica e poi un notiziario. Come sempre. Niente di particolare…

       Solo al lunedi, un mio conoscente, che era a capo di una struttura del Ministero dell’Interno, mi confid; “un segreto”:
       “Ieri, nella nostra citt; hanno dato l’allarme e chiamato tutto il personale del comisariato di milizia,(milizia – ; la polizia-nota V.Z.), e delle sezioni di pompieri.”
       “Cos’; successo?!”
       “Qualcosa a Chernobyl. Alla stazione nucleare... non si capisce se c’; stato un incendio o un’esplosione. E’ arrivato l’ordine tassativo di richiamare tutta la gente, che divertiva sulle spiagge, e sulle isole di Dnepr. Dovevamo allontanare tutti dal fiume. Un’operazione da far ridere i polli! Eppure tutto il personale doveva tacere, non doveva a dire nulla ai cittadini. Ma come si pu; convincere la gente di interrompere improvvisamente la loro giornata domenicale molto calda, ed andare a casa?!”
       “Perch;?” era la prima domanda di tutti.
       “Non possiamo dirvi nulla. Ma dovete andare via.”
       “Ah ah ah! Se voi non potete dirci nulla, noi non possiamo tornare a casa! Punto!!!” rispondeva maggior parte dei giovani.
       “Aim;, quante cose sgradevoli abbiamo sentito durante quella giornata! Alcuni ragazzi li abbiamo dovuto trascinare a viva forza sulle barche. Altri li abbiamo portati al comissariato, dove misuravano le irradiazioni.”
       “Coooome?!”
       “Si. Irradiazioni. Dalla miniera si sono portati i misuratori di radioattivit;, si chiama radiometri. Li ho visti per la prima volta in vita mia. Dicono che l; hanno la-sciati i giapponesi chi collaborano nella nostra cava. Loro, secondo quanto si dice, in miniera senza radiometri non si mettono neanche un piede!
E allora, i ragazzi che si erano divertiti sulle isole del Dnepr e avevano passato le notte sotto le tende dal venerdi alla domenica, e i pescatori, che erano usciti sul fiume, rimanendo per un lungo periodo sulle barche, erano cosi altamente irradiati che i do-simetri spesso arrivavano a fondo scala e spegnevano. In particolare, sui capelli e sui piedi erano presenti i pi; alti livelli di radiazione. E poi, molti tra loro stava prendendo il sole... Quella piogga di sabato aveva portato qui di tutto! Quella nuvola, come in seguito fummo informati, era arrivata proprio da Chernobyl.”

       “Oddio!” mi ; venne un pensiero pauroso. “Meno male che, almeno i bambini li ho mandati sotto al riparo!”

       La mia immaginazione mi ha port; in un lampo alla dacia.
       Mi vedevo sulla riva del Dnepr il sabato precedente.
       Mi vedevo sotto una tiepida e allegra pioggerellina...


       Dopo qualche giorno una circolare spaventosa arriv; anche alle strutture me-diche della mia citt;. Si dovevano dimettere dall’ospedale tutti coloro che potevano continuare le cure a casa. Tutti i reparti dovevano prepararsi ad accogliere “massicci arrivi di malati”.
       Da Chernobyl.
       Dall’inizio del maggio 1986, nella ex-URSS, che improvvisamente era caduta in una situazione drammatica, venne messo in moto un meccanismo enorme per far fronte ad una catastrofe imprevista e crescente.
       Nelle varie regioni, le autorit; costituirono comissioni straordinarie con squadre di medici, protezione civile, etc.
       I commissariati militari richiamarono i militari della riserva. Innanzitutto i con-ducenti di mezzi di trasporto, gli esperti di sanit; e alimentazione, i tecnici edili.
       Tutta questa gente fu mandata direttamente a Chernobyl, con i propri mezzi, cio; con le moto e gli autoveicoli su quali normalmente lavorava. Spesso, neanche i genito-ri e i parenti non sapevano nulla della destinazione del loro caro.
       Questa moltitudine di persone trasportavano le macerie radioattive con i loro camion. Costruivano i muri di calcestruzzo del riffuggio-sarcofago, Lavavano con l’acqua e sapone quanto poteva essere radioattivo, poi, rendendosi conto, che il lavag-gio non era sufficiente, demolivano e seppellivano tutto quanto.
       Nessuno sapeva cosa fare per difendersi dalla radioattivit;. Con il tempo, l’esperienza sul campo faceva aumentare le loro conoscenze. Ma ad un prezzo altissimo...
       I comissariati della milizia, e i vigili del fuoco organizzavano i loro distaccamenti per mandare delle squadre a turno, a Chernobyl.
       I disretti militari, fino che dai primi momenti dopo l’esplosione e per pi; di sei mesi necessari alla cosruzione del sarcofago, buttarono continuanamente nell’inferno atomico delle reclute di 18 – 20 anni.
       Regolarmente andavano nella “Zona” anche gli impiegati del KGB (Comitato per la sicurezza nazionale presso il Consiglio dei Ministri dell’URSS). D’altronde, anche loro, nei primi momenti non conoscevano la verit; e non avevano la consapevolezza della pericolosit; e della tragicit; della situazione. Il famigerato “velo del mistero” toccava anche i rappresentanti delle filiali di KGB. Molti di loro, particolarmente in
Ucraina, sono gi; deceduti o sono mortalmente ammalati. A differenza del “potere” e dei loro leader spensierati, per un lungissimo periodo migliaia e migliaia di cittadini dell’ex-Unione Sovietica (in prevalenza ucraini) fecero sforzi sovrumani nella zona contaminata per salvare il mondo dal disastro nucleare.
 
       Subito dopo l’esplosione di Chernobyl, nelle 15 repubblice dell’ex-Unione Sovietica inizi; una vasta campania di sostegno alle vittime del disastro nuclea-re. Parallelamente, in Ucraina, (purtroppo, non ho informazioni relative alle altre repubblice), tutte le imprese, le aziende, i kolchos etc. furono obbligati a trasferire con-tinuanamente una percentuale di denaro del loro bilancio al “Fondo di Chernobyl”.
       I lavoratori dipendenti i quali inizialmente raccoglievano soldi volontariamente, furono oggetto di un’ordinanza che li obbligava a versare una certa somma attraverso le raggionerie aziendali, (cosi non poteva sfuggire nessuno). Queste quote si versarono continuanamente per anni e anni.
       Raccolsero denaro per il Fondo di Chernobyl anche i pensionati e i bambini nelle strutture scolastiche. Di fronte al disastro atomico tutto il popolo ucraino era solidale.

 
       Le conseguenze disastrose della radioattivit; minaccia tutto il popolo ucrai-no e non solo gli ex-abitanti della “Zona Chiusa”, (o “Zona di Alienazione”). L’Ucraina da molti anni sostiene le spese massicce per la bonifica. E non solo per il territorio contaminato ma anche per le regioni, dove incombe una minaccia dei radionuclidi di Chernobyl, trasportati dal vento e dall’acqua. Ma se lottare contro l’aria, come sappiamo, ; inutile, fermare o cambiare il corso di un fiume ogni tanto ; possibile.


       L’Ucraina cerc; di diffendere i cittadini che abitavano a sud di Chernobyl, dove
scorrevano tante fiumi. Fiumi che potevano trasportare acqua contaminata dai radio
nuclidi.
       Se pensiamo che il Dnepr attraversa tutto il territorio ucraino fino ad arrivare al Mar Nero e conta tantissime sorgenti che forniscono acqua potabile a molte citt; e villaggi, si capisce che la minaccia nucleare per la gente era del tutto reale.
       Le comissioni straordinarie locali organizzarono dei controlli ininterrotti dell’ambiente, del suolo e dell’aqua.
       Si cercarono altre fonti e altri bacini di acqua potabile e iniziarono i lavori per il trasferimento degli impianti di depurazione.
       Si cercava di costruire un rifornimento idrico autonomo per ogni citt; e ogni paese in pericolo. Un lavoro biblico che comportavano spese enormi.
       Vennero stabiliti dei controlli sull’alimentazione. Venne proibito il consumo di
pesce proveniente dal Dnepr e dei suoi affluenti risultati contaminati. Venne proibita
la caccia e il consumo di selvaggina.
       Venne imposto il divieto di usare le barche sul Dnepr e sugli altri corsi d’acqua, nonche di bagnarsi nelle loro acque.
       Non fu pi; possibile inaffiare le piante e gli orti con l’acqua del fiume. Le dacie all’improvviso rimasero abbandonate.
       Tutte le spiagge sulle rive delle fiumi contaminati, furono chiuse per anni.
       Tantissime barche private marcirono sulla sabbia o furono brucciate dei loro padroni.

 
       * * *



 
       Brivido nel silenzio

       “Non conosco pi; la mia Terra
       La natura sua non la conosco pi;...”

       La Zona dell’Alienazione (o Zona Chiusa) di 30 kilometri quadrai intorno la stazione nucleare di Chernobyl, non si pu; popolare per una durata di 300 anni.
       La zona di 10 km quadrati intorno la centrale non dovrebbe di popolarsi per 732 300 anni solo per la colpa del plutonio-239.
       Ma per l’amerizio-241, che nasce dal plutonio-241, quando tempo ci vuole?
       E per il neptunio-237, che nasce dall’amerizio-241?
       Il neptunio-237, che richiede solo per la semidisgregazione 2 milioni anni...

       
       Qualcuno ; convinto anche oggi che Chernobyl ; un problema locale e riguar-da solo l’Ucraina.
       Secondo me, non ; cosi. Sono profondamente convinta che il problema della centrale di Chernobyl ; una problema globale. Una questione Universale. Un disastro ancora vivo e crescente, anche se qualcuno nel Mondo e non vuole di comprendere questo fatto.
       Indubbiamente, ognuno di noi ha un dirito di avere una propria idea. E ognuno di noi fa la propria scelta di cosa fare in questa vita e di quale gioco giocare: le carte, gli scacchi, o i giochi militari, quando armati fino ai denti, gli eserciti invadono gli altri Paesi sotto una dichiarazione ipocrita “di una missione della pace”; o giochi affaristici nel campo delle tecnologie nucleari. Tecnologie che, come abbiamo capito troppo tar-di, sono poco studiate e molto pi; pericolose come pensavamo. Tecnologie che, ancora oggi scelgono in tanti, non di rado sotto l’influenza dell’opinione corrente.
       
       Dimenticando che tutti noi abbiamo un diritto di fare la propria scelta:
       il Bene o il Male.

       Non avevano e non hanno ancora oggi questo diritto solo le persone che, per col-pa di altri giocatori sovrani, in un istante sono stati sottomessi all’effetto mostruoso termonucleare:
– Liquidatori ed evacuati.
– Mobilitati e civili.
– Milioni e milioni di diseredati e malati.
       .............

       ...In uno splendido e solleggiato mattino dell’ottobre di 2006, dopo giorna-te nebbiose e piovose, D. Riboni ed io eravamo in partenza per Zona Interdetta di Chernobyl.
       L’albergo della capitale dell’ Ucraina, Kiev, dove avevamo pernottato, non era riscaldato. Durante la notte, nella mia camera, mi svegliavo continuamente per il fred-do, pensando al lungo viaggio dell’indomani. Ero preoccupata perch; tutta la gente che avevano saputo della mia intenzione di andare a Chernobyl, mi sconsigliata di farlo. Tenacemente, ripeteva che era ancora molto pericoloso.
       Anche mia figlia che partecipa sempre ai miei Progetti Internazionali culturali, educativi, di solidariet; etc., nonostante il suo intenso impegno come cantante, sopra-no, del teatro d’opera e, che mi aveva accompagnato dall’Italia, era contraria alla mia visita di Chernobyl:
       “Organizza tutto per Riboni e rimani ad aspettarlo a Kiev” mi diceva.
       “Ma c’e il problema della lingua.”
       “Lui ; venuto per fare delle foto. Si possono farle anche senza sapere la lingua. Tu non sei pagata da nessuno e non sei obbligata di accompagnarlo nella Zona. Pensa a te stessa. E se non vuoi, pensa almeno a me e al mio fratello!”

       Il mio figlio che abita in Ucraina e conosce meglio la situazione attuale di Chernobyl, cercava di persuadermi di non andare nella Zona fino da prima della par-tenza:
       “Pensaci ancora, mamma. Per favore... Perch; voi andare? A che serve tutto que-sto?”
       “Forse, servir; per la gente... Se scriver; poi un libro...”
       “La gente... Non ci autera nessuno! Pensaci, per favore, mamma...”

       Promettevo di pensarci ma in ogni caso avevo gi; messo in borsa le scarpe e gli abiti di ricambio.

       Per; ci pensavo.
       Ricordate quella pioggerellina del 26 aprile 1986, descritta prima, sotto la quale io lavoravo nella dacia? Forse per colpa sua, o forse per qualcosa d’altro, negli anni novanta anch’io avevo avuto problemi con la tiroide. E quando vedevo la gente intor-no a me con una lunga cicatrice sulla gola, immaginavo di diventare come loro e mi sentivo ancora pi; male.
       Cosi avevo cominciato a cercare un altro modo per guarire, senza arrivare al-l’intervento chirurgico, cosi mal fatto in Ucraina. La strada ; stata fatta in solitudine totale ed e risultata molto lunga, ma mi ha portato sollievo. Sto parlando di questa cosa per la prima volta. La mia famiglia non lo sapeva e non lo sa ancora adesso. Per non disturbare i miei cari, non ho messo questa descrizione neanche nella prima parte del libro scritta in russo.

       ...Mentre Riboni sistemava rumorosamente sui sedili posteriori di un “Volksvagen”, dell’Agenzia di “Chernobylinterinform”, arrivato puntualissimo a prenderci all’albergo per portarci a Chernobyl, (ho organizzato il viaggio nella Zona
attraverso l’adeguato Dipartimento dello Stato), chiedo all’autista, che si chiama P¸tr
Stash;k, dove il nostro accompagnatore che mi aveva promesso in Dipartimento.
       “Ci sar; o no questo accompagnatore? Oppure lei far; tutto da solo?”
       “No. Io sono solo l’autista. L’accompagnatore ci sta aspettando a Chernobyl.”
       “Ma l; ; pericoloso?” Mi lascio scappare la domanda che mi tormentava gi; qualche giorno.
       “Eppure noi ci lavoriamo.” Mi risponde evasivo.
       “Ma io volevo chiederle”, inizi; un p; confusa davanti ai suoi occhi scuri dallo sguardo attento. “Ho portato un vestito e delle scarpe. E anche signor Riboni. C; la necessit; di cambiarsi? Cosa mi dice?”
       “Una volta sono venuti gli americani” sorride con discrezione il mio interlocuto-re. “Loro cambiavano tutto, perfino le mutande. Hanno lasciato nella Zona tutte le loro cose prima della partenza. Tutti si ricordano di loro.”
       E diventando ancora serio continua:
       «Noi non facciamo alcun cambio di indumenti. Ma l’anno scorso ; venuta una squadra televisiva a girare un film su Chernobyl e alloggiavano tranquillamente in un albergo della Zona. Poi uno di loro mise un dosatore di radioattivit; sul tetto dell’al-bergo. Lo strumento rilev; quantit; enorme di micro raggi x! In un attimo la squadra fugg;. Ma non tutti i luoghi sono uguali.»
       «Va bene.»
       E senza esitare prendo posto a fianco dell’autista.
       “Noi andiamo nella Zona per un giorno, non per una settimana intera. Speriamo che non succeda niente! Andiamo?»
       «E, e... E il suo... » Esordisce delicatamente P¸tr Stash;k. Ma poi non continua perch; non sa chi ; per me e come deve chiamare il mio compagno di viaggio.
       «Il mio collaboratore.» Rispondo ad una domanda non proferita.

       «Signor Riboni, tutto ok? Partiamo?» le chiedo in italiano.
       «Si, si!» Risponde prontamente lui, gi; semi sdraiato tra le borse da viaggio e due sacchetti di plastica contenenti una bottiglia di vodka e alcune cibarie da portare nella Zona su consiglio di persone competenti.
       «Tutto ; perfetto! Andiamo!»

       La distanza dalla capitale dell’Ucraina, Kiev (2, 5 milioni abitanti in citt;; pi; di 4,5 milioni nella regione) a Chernobyl ; di 135 km.
       Le citt; di Chernobyl e di Pripiat’ sono ubicate sulla riva destra del pittoresco
fiume Pripiat’, che scorre per 710 km nel bacino idrico di Kiev.
       Chernobyl dista 12 km da Pripiat’. Ma la zona industriale, con la SNdC ; stata situata dai “capi saggi” proprio tra loro.
       Chernobyl ; una citt; antichissima. Proprio qui furono scoperti i primi insedia-menti umani.
       La descrizione di questi primi abitanti del territorio e la loro evoluzione, ; de-scritta nelle opere di un patriarca della storia: il greco Gerodot.
Pi; tardi, come testimoniano gli storici antichi e contemporanei, queste trib;, che si chiamavano drevliani, fondarono e sviluppavano la citt; di Kiev . Una citt; che fu capoluogo del Paese per quasi tutta la sua storia ed rimasta capitale dell’Ucraina anche oggi.
       Chernobyl fu colpita dalle radiazioni causate dalla catastrofe un po’ meno di Pripiat’ perch; era parzialmente protetta da un bosco di conifere. Le fronde e le chio-me di questi alberi assorbirono numerose tonnellate di polvere radioattiva, di grafite, di cenere, di scorie contaminate dai radionuclidi, e tutta una vasta gamma di sostanze fuoruscite dal reattore 4 e trasportate dal vento.

       Pripiat’, come gi; detto, dista solo 3 km dell’impianto nucleare n° 4. Nel 1986 Pripiat’ era la citt; pi; giovane del nostro pianeta. Una citt; costruita sulla riva del fiume omonimo, con un grande entusiasmo e con le mani della giovent;. Popolata degli stessi giovani i quali, nella maggior parte, lavoravano alla Centrale. Una citt; nuova e bella, con 45.000 abitanti. Anche a Pripiat’, come anche nella mia citt; sulla riva di Dnepr, descritta prima, met; della popolazione era costituita da bambini.

       Anche alcuni miei concittadini si erano trasferiti a Pripiat’. A loro piaceva l’at-mosfera romantica che regnava nelle nuove citt;, fondate dal nulla. Per esempio, Liuba Sirot;, ora nota poetessa ucraina, e toccata da un tragico destino dopo la catastrofe nucleare. Devastata dalle radiazioni, sta lottando disperatamente contro le conseguenti malattie incurabili e contro l’ignoranza del Mondo sulla pericolosit; del nucleare.
Liuba ; una donna coraggiosa la quale, nonostante le sue gravi condizioni di
salute, non rifiuta mai ogni possibilit; di visitare la Zona interdetta e la sua amata
Pripiat’.
       Una citt; completamente spopolata negli ultimi 21 anni. Una citt; nella quale lei non riesce di trattenere le lacrime.
       Ma dove la memoria, ostinatamente, la fa ritornare nel passato felice. Nel passato che risuonava delle risate e delle vocine allegre dei tanti bambini.
Cosi era Pripiat’ “prima di Chernobyl”. Cos; erano tante citt; del mio Paese. Dove oggi si riscontrano le pi; gravi condizioni di invecchiamento demografico e un quinto della popolazione ucraina ha pi; di 60 anni.


       Secondo l’opinione di Arupo Banergi, capo della sezione economia e dello svi-luppo umano della Banca Mondiale, si potr; migliorare la situazione solo attraverso l’aumento immediato degli investimenti in Ucraina.
       “Se non saranno fatte le riforme radicali, l’Ucraina dovr; usare il 20 % del pro-prio PIL solo per le pensioni, circa il 10% per la sanit; pubblica, il 10% per l’istruzione e la riqualificazione del personale, il 4% per l’assistenza agli anziani. Quindi, queste spese possono arrivare alla met; del PIL. Un peso non sopportabile dall’economia di nessun Paese, che non consentir; alcun investimento per lo sviluppo.”


       ...Il nostro autista, Stashuk P¸tr Petrovic abita a Kiev. L’ho intervistato durante il viaggio da Kiev a Chernobyl chiedendogli, prima di tutto, cosa stava facendo quel 26 aprile di 1986, e quando aveva sentito per la prima volta del disastro di Centrale.
       «Mi ricordo molto bene quel giorno» esordisce P¸tr «perch; il 26 aprile ; legato ad una festa famigliare. Proprio il 26 aprile di un anno prima era nato il mio pri-mogenito, e il giorno successivo alla disgrazia di Chernobyl festeggiavamo il primo compleanno del mio figlioletto.
       A quel tempo, lavoravo in un deposito di autobus. E quando scesi per accompa-gnare mia sorella al lavoro, di turno quella domenica 27 aprile, vidi l’autobus del mio collega Sasca Bortovoj. Lo fermai e le chiesi di dare un passaggio a mia sorella. Ma inaspettatamente Sasca mi neg; il proprio aiuto».
       “Scusate ragazzi, ma non posso. Qualcosa ; scoppiato a Chernobyl e io devo an-dare immediatamente sul posto con una colonna di autobus” mi rispose Sasca.
       «Cosi abbiamo sentito per la prima volta dello scoppio a Chernobyl» prosegu; P¸tr.
       Quella prima colonna di autobus utilizzati per l’evacuazione immediata degli
abitanti di Chernobyl e di Pripiat’, cio; pi; di 70.000 persone, fu organizzata in fretta e furia, facendo arrivare i pullman da diversi depositi sparsi nel Paese.
       La colonna, riunitasi sulla strada per Chernobyl, aveva una lunghezza di 10 km e contava 1.100 autobus. Arriv; a destinazione alle 14.00. L’evacuazione, come riferirono le fonti ufficiali, continu; per 3 ore e fin; alle 17.00.
       Secondo me, queste cifre non corrispondono alla realt;. Sappiamo bene come
i miei “compaesani” sono abituati ad arrangiare le cifre e i dati per fornire un buon
rapporto.
       Sappiamo bene che qualche “superflua” ora o giornata, all’epoca non impor-tava a nessuno, nonostante che anche 5 minuti di esposizione alle radiazioni possono
costare di una vita.
       ...Le colonne di autobus furono formate in fretta, con personale non solo di turno ma anche con autisti richiamati dalla loro giornata di riposo o dalle vacanze. Alcuni di loro erano nella loro dacia o a pesca sul Dnepr. Erano gi; un po’ alticci, come di-cono i automobilisti. Qualcuno ; mooolto alticcio. Nonostante tutti loro si diressero a Chernobyl.

       Uno di questi raccontava poi ai suoi colleghi:
       “Mi hanno chiamato a casa. Mi hanno detto che era una cosa molto urgente e allarmante. Che dovevo andare a lavorare. Ma io, proprio quel giorno avevo ospiti per il compleanno di mia suocera! «E’ sempre cos;», dissi ai miei invitati. «Rovinano sempre le mie feste solo per allarmismo!»
       Prima di uscire tracannai due bicchieri di vodka con mia suocera e i miei ospiti e li salutai «Ciao, ragazzi! Continuate a divertirvi senza di me!». Ma quando mi misi al volante, mi resi conto di essere caduto in ebbrezza, come nel fango! Perch; avevo buttato gi; la vodka a stomaco vuoto. Non avevo avuto il tempo di mangiare nulla oltre a due cucchiai di insalata di oliv’e. (Molto diffusa nell’ex Unione Sovietica l’insalata di “OLIV’E”, si chiama in Italia “INSALATA RUSSA”. Ma il gusto ; un po’ diverso, in Italia, non vengono usati due ingredienti principali: la carne di pollo e la mortadella. La denominazione “oliv’;” per gli italiani ; sconosciuta, ma il gusto, (se oliv’e viene preparato a modo nostro) piace di pi;).
       Pensai di chiedere un permesso e ritornare a casa causa l’ubriachezza, ma non and; cosi.
       La situazione era davvero allarmante, e dopo aver chiesto all’autista che mi pre-cedeva di non spegnere le luci del suo autobus per nessun motivo, la colonna part;. E cosi guidai fino a Chernobyl con l’unico riferimento delle luci posteriori dell’autobus del mio amico.
       Intorno a me non vedevo niente! Tutto ci; che ricordo di quel giorno ; coperto dalla nebbia. Ricordo che aspettammo a lungo i passeggeri. Ricordo che nessuno ci diceva cosa fosse successo e perch; dovevamo portare via tutta quella gente. Ricordo che i giovani saltavamo sui tetti degli autobus per osservare meglio cosa cera intorno e per vedere la Centrale”.


       In seguito, molti di questi autisti morirono. Molti altri sono tuttora amma-lati.
Quando Stashuk torn; al lavoro il marted; successivo, scopr; che altri autobus del suo deposito facevano turni di viaggio nella Zona. Sulle linee urbane di Kiev, al posto di 20-30 autobus, ne rimanevano solo 5.
       Anche il fratello di P¸tr ricevette la precettatazione per andare a Chernobyl, ma P¸tr fu fortunato. Il suo turno non arriv; perch; dopo una settimana moltissimi auto-mezzi, di tutti tipi e per ogni esigenza, arrivavano da tutte le parti dell’Ucraina e dalle altre repubblice vicine.
       «Poi» continua P¸tr «nel deposito cominciarono a distribuire, per tutto il persona-le, le pillole di iodio. Ma non sempre e non tutti le prendevano. Alcuni non credevano che le pillole potessero salvarli dalle irradiazioni. Altri scoprirono che alcune confe-zioni di pillole erano scadute e le buttarono, non credendo pi; a nessuno. Altri ancora pensarono di difendersi con l’alcol.”
       Una notizia secondo la quale le persone che si trovavano nella Zona sotto l’effetto dell’alcol sarebbero stati meno colpiti dalle radiazioni, si diffuse fulmineamente in tutto il Paese.
       Per un certo periodo si distribu; vino rosso ai liquidatori, ed era un fatto singolare e inconsueto per il regime sovietico. Per; non a tutti, ma solo a quelli chi lavoravano sul tetto dell’impianto esploso. Quelli che, con le proprie mani, con le pale e con le barelle, raccoglievano la grafite e le macerie roventi, le portavano al margine
del tetto e le buttavano gi;.
       «Queste poveretti erano tutti ragazzi» continua il suo triste racconto il nostro autista P¸tr «pompieri, tecnici di protezione civile, ma sopratutto soldati in servizio di leva, cio; ragazzi di 20-21 anni. Molti, tra i pochi sopravissuti, non hanno ricevuto
neanche un attestato di liquidatori. (Le tessere dei liquidatori, che sono stati introdotte dello Stato poco dopo la catastrofe nucleare, prevedevano alcune provvidenze come medicinali e cure gratuite. Ma non mancarono casi di persone disoneste che ricevettero la tessera pur non essendo stati neanche per un attimo a Chernobyl. Invece, molti veri liquidatori, in particolare soldati di leva, furono lasciati, come si dice, “ fuori dalla barca”- nota di V.Z.)
 
       "E chiss; quanti di loro, pesantemente irradiati,
non hanno mai pi; potuto avere figli.»

 
       ...A trenta kilometri da Chernobyl ci sorpassa un’autovettura con rimorchio che trasporta un motoscafo. Nuovo.
       «Vede, stanno andando verso Chernobyl a pescare», ñommenta P¸tr.
«Ma se dicono che l; ; ancora pericoloso, come si pu; mangiare il pesce? Davvero si pu;? »
       «Chi lo sa con sicurezza?! Molti credono che si pu;.»

       Passiamo il “Krug”, l’ultimo incrocio con rotatoria. Davanti a noi la strada ; tutta diritta fino a Chernobyl. Stashuk ci racconta la storia del monumento che abbiamo appena visto nel mezzo della rotonda.
       «E’ stato costruito poco tempo fa e ha un riferimento con Chernobyl. Rappresenta un uovo, come simbolo della creazione del mondo. Il monumento ; dedicato alle vitti-me della Centrale e sotto il piedistallo ; posta una capsula con un messaggio rivolto ai bambini ucraini: le nostre generazioni del futuro.»

       Dopo “Krug” non c’; pi; traffico sulla strada. Il nostro “Volksvagen” ; l’unico autoveicolo. Riboni si ; messo le cuffie e tace. Io e l’autista, di tanto in tanto rompendo la nostra conversazione, ammiriamo i bellissimi paesaggi autunnali della Poles’e. In Ucraina, prima della catastrofe, tanta gente raccoglieva i funghi e i frutti di bosco nei prati e nelle foreste. La Poles’e ; cos; bello e cos; abbondante di boschi, di fiumi, di laghi e di ricchezze naturali, che migliaia di cittadini della capitale dell’Ucraina da sempre ci andavano in vacanze o per trascorrere il fine settimana. Ai tempi del boom delle dacie, molti hanno costruito in Poles’e ville e cottage.
Passando accanto a queste dacie non vediamo nessuno. I terreni sono invasi dalle erbacce. L’incuria e l’abbandono ; evidente.

       Pi; avanti, la strada attraversa boscaglie e foreste. In questi boschi, nel 1986, erano dislocate le unit; militari, le divisioni dei pompieri, le squadre di protezione civile, il KGB. E tutti loro erano contenti di essere stati destinati fuori delle citt;, in un luogo cosi bello. Prendevano il sole meravigliandosi di come si abbronzavano velocemente. (l’abbronzatura ; il primo sintomo dell’irradiazione - nota di V.Z.).

       Kilometri e kilometri sulla strada verso Chernobyl. Oltre al nostro veicolo non c’e nessuno. P¸tr mi rende partecipe delle sue riflessioni sui villaggi e le citt; contaminate.
       «Lasciamo da parte Chernobyl, di cui, negli ultimi due decenni si ; scritto e riscritto..." (Com’ ; noto, la denominazione “Chernobyl”(che significa pianta amara, molto diffusa in Ucraina e particolarmente nella Zona), ; un nome Profetico. Dicono e scrivono che la tragedia di Chernobyl ; l’attuazione della profezia biblica: la
Stella d’argento di Chernobyl ; caduta dal cielo dopo di che ; diventata amara 1/3 dell’acqua. In seguito a ci; “scomparir; numerosa gente”. Nella Bibbia l’erba chernobyl ; un simbolî di tristezza, dolori, guai e devastazione che arrivano prima del Fine del Mondo.
       Molti sono convinti per; che la Profezia riguarda non l’Apocalisse mondiale, ma solo la fine dell’ex-Unione Sovietica - nota di V.Z.).

       "Parliamo di altri, per esempio “Stracholissia”. (“Stracholissia” significa “paura del bosco”). Ora al posto dei villaggio c’; solo il bosco e la paura dei radionuclidi;
       “Orane”,(“Orane” significa “arare”)- questo villaggio ; stato “arato”, cio; distrutto e seppellito;
       Anche “Kopaci”, (“Kopaci” significa “scavare”), lo hanno messo sotto terra, scavando le fosse.
       Dalla parte della Bielorussia c’; un paese che si chiama “Babcin”,(“Babcin”significa “della nonna”). Ci sono rimaste solo le nonnine. Non c’e pi; giovent;!
       “Pripiat” (“Pripiat” significa “ancoraggia”), ; vero, l’ancorata, vuota...»


       Il villaggio di Ditiatki (sign. “bambini”) dove arrivammo poco dopo, si trova in
vicinanza della Zona e del filo spinato. Ditiatki, al primo sguardo, sembra vive la solita vita normale.
       Per; i vasti terreni circostanti non sono pi; coltivati. Non ; pi; possibile utilizzare il legname proveniente dai boschi. I pi; giovani, che trovano il coraggio e il posto dove andare, lasciano il loro villaggio natale.
       Quando davanti a noi apparve il punto di controllo, al confine della Zona, provai una stretta al cuore.
       «Signor Dario, siamo quasi arrivati. Il controllo!»
       «Okej» mi rispose il mio compagno di viaggio cominciando a muoversi dietro di noi.

       La sbarra ; chiusa. Quando la macchina si avvicina alla garitta dei controllori, subito si affacciano alla finestra alcune persone.
Alla destra c’; una mappa, coperta dal vetro, con tante macchie colorate e una grande scritta: “Le zone colpite dalle radiazioni”; a sinistra c’; una scritta modesta: “Chernobyl”.
       Ci fermiamo. Mentre P¸tr si dirige verso il container del controllo con i nostri documenti, io e Riboni osserviamo la mappa. Dario comincia a scattare foto. Dopo un istante l’autista e un giovane sottufficiale, con una divisa mimetica, ci raggiungono.
 
       «Buongiorno»! il maresciallo improvvisamente ci saluta in italiano. La sorpresa ; grande! Io e Riboni rimaniamo meravigliati. Commentiamo questo fatto incredibile con un’emozione cos; grande che mandiamo in confusione il ragazzo, il quale ci spie-ga che studiava italiano a scuola e ricorda alcune frasi.
       I documenti sono in ordine e il sottufficiale cordialmente ci augura il buon
viaggio. La sbarra dietro di noi si richiude.

       Dopo 20 minuti arriviamo al quartiere generale dell’Agenzia “Chernobylinterinform”, una filiale del Ministero dell’Emer
genza dell’Ucraina, dove incontriamo Serghey Cern;v, un collaboratore della sezione “Collegamenti internazionali”. Anche Serghey indossa una tuta mimetica e, come ho capito dopo pochi minuti, anche lui ; un giornalista.
 
       Visto che il mezzogiorno si avvicinava, mi preoccupavo un po’ che D. Riboni avesse fame. (Per colazione in albergo ci avevano dato solo insalata di cetrioli e po-modori e un piatto caldo di omeletto e di grano saraceno, che in Italia le generazioni contemporanee non conoscono pi;).
       Riboni, osservando sospettoso questo piatto color marrone, all’improvviso lo aveva allontanato.
       «Non mangio questa roba! Cosa c’e l’altro? E poi, i pomodori non si dovevano mischiare con i cetrioli.»
       «In Ucraina, signor Dario, lo fanno cosi, perch; nel periodo freddo la verdura fresca ; limitata»
       «Ma io ho l’allergia per i cetrioli!» Ecco, la prima sorpresa inaspettata...
       «Come potevo sapere io, della sua allergia ai cetrioli? Doveva dirmelo.»
       «Ma come potevo dirlo, in italiano, se sono venuto a colazione prima di lei?! risponde stizzosamente.»
       “Due minuti prima, mentre io pagavo il conto delle camere” pensai.
       Ma demoralizzata della scenata e gli sguardi curiosi della gente presente nel locale, silen-ziosamente misi davanti a Riboni il conto della sua stanza, e prendendo il suo piatto, andai a chiedere alla cameriera il favore di preparare per l’ospite italiano l’insalata senza i cetrioli.
       Quando il piatto richiesto fu servito con le scuse cordiali della ragaz-za, Riboni, la ringrazi; pi; volte con un “Non c’e problema!”, una frase chiara, anche senza traduzione, per la cameriera. Ma subito aggiunse non sopportava non solo il sapore dei cetrioli ma, anche il loro odore!

       Ma questo problema non potevo risolverlo io, ne nessun altro, perch; quella mat-tina tutti gli ospiti dell’albergo avevano avuto per colazione le stesse portate, perci; tutta l’aria del locale odorava di cetrioli!

       Pi; di ogni altra cosa, Riboni rimase scontento per la mancanza del latte, che lui voleva aggiungere al caff;, come sono abituati a fare gli italiani. Ma in Ucraina si prende il caff; nero. Nei locali pubblici, a parte i luoghi frequentati dai bambini, nessuno chiede il latte, per cui la nostra richiesta aveva stupito la cameriera. Neanche il caff; era piaciuto a Riboni. Andava bene solo il pane.

       “Non c’e problema! Io mangio di tutto!”, pensai amareggiata a questa sua frase quando le parlai, in Italia, chiedendogli se avesse problemi di salute, quale cibo non sopportava, o se avesse delle esigenze particolari. Sempre mi aveva dato questa rispo-sta. Non mi aspettavo queste difficolt; subito ai primi passi.


       Chiedo a Riboni di prendere dal “Volksvagen” le borse con gli spuntini.
«Penso che lei sia affamato. Mangiamo subito un bocconcino da qualche parte.»
       «Ma io veramente…» mi risponde mostrandomi solo una met; di baguette.
       “Ah... va bene. Lasciamo il cibo in macchina, ma portiamo con noi tutto il re-sto.»

       “Fra circa mezzora ci sar; il pranzo” esordirono Sergey e P¸tr che avevano capito tutto senza traduzione.
       «Ok. Ma abbiamo portato con noi non solo gli spuntini ma anche una bottiglia di vodka perch; ci hanno consigliato di prendere un po’ d’alcol prima di partire per la Zona.»
       Che sia una verit; o no, noi abbiamo deciso di seguire questo consiglio. Anche se tutti e due praticamente non beviamo.
       “Ho capito... Organizzeremo...”, sorridono con riservatezza Serghey e P¸tr, entrando nell’edificio. Sicuramente hanno gi; visto talmente tante stranezze dei, visi-tatori della Zona, che non si stupiscono pi; di niente!..

       Proprio Serghey Cernov ; il nostro accompagnatore per questo giorno. Mentre con tanta bravura aiuta ad apparecchiare la tavola, ci mette al corrente del program-ma, e ci presenta il conto del Dipartimento che comprende il servizio del veicolo con autista, il servizio di accompagnamento e il pranzo. Il tutto costa 227 Euro. Questa volta paga Riboni.
       Per circa 40 minuti Cernov ci spiega la situazione attuale nella Zona interdetta, le condizioni e la sopravivenza nel territorio contaminato, l’ambiente e l’uomo. Ci mostra le mappe della radiazione e della protezione civile, visionando i grafici e i diagrammi con i cambiamenti temporali; mettendo in chiaro la situazione attuale della Centrale, spenta definitivamente nel 2000, e il lavoro dei personale di servizio.

       Dopo il pasto nella sala di pranzo dell’Agenzia (cosi gustoso e ricco di portate, che aveva soddisfatto persino Riboni), e dopo aver conosciuto i membri di una delegazione di Belgrado, composta da biologi e giornalisti, procediamo con il viaggio.
Mentre saliamo sul “Volksvagen”, il radiometro, (Strumento per misurare le radiazioni)
 nelle mani di Sergej sta sputando 30 microraggi: un livello vicino alla normalit;.

       Quando il pulmino compie una retromarcia per avviarsi verso l’uscita, io rivolgo l’attenzione alle aiuole con il suolo dissestato che si trovano davanti l’Agenzia.
       “Ah, ah, ah... Questa ; opera dei maiali selvatici” reagisce tranquillamente al mio sguardo Serghey. “Questi animali sono padroni dappertutto! Nei giardini pubblici, negli orti, nei cortili, nei boschi, perch; non c’; pi; gente nelle citt;. Magari oggi ne vedremo qualche branco. Ce ne sono alcuni che contano 30-40 cinghiali.”

       A Chernobyl, che come gi; detto ; stata un po’ meno contaminata di Pripiat’ ci
sono alcuni abitanti. Qualcuno ci vive temporaneamente, altri in modo continuativo. A loro sono state assegnate delle case popolari sgomberate nel 1986. Passando, osservia-mo che solo in alcune finestre si vedono le tendine. Dietro, si scorgono i giacigli usati
dagli abitanti per riposare. Ci abitano coloro che lavorano nella Zona con turni di 16 giorni: guardie, ecologisti, medici, elettricisti, lavandaie, cuochi, camerieri, commes-se, dipendenti delle imprese di pulizia, dell’acquedotto, etc.
       Ogni met; del mese, tutta questa gente, che proviene da tutte le parti dell’Ucraina viene avvicendata. Chi ha lavorato per 16 giorni va a casa e arrivano i sostituti per i successivi 16 giorni.
       Molti di loro sono ex-abitanti di Poles’e, dove sorgeva Centrale. Altri hanno anche collaborato alla costruzione degli impianti, delle case per il personale di Chernobyl, della nuova citt; di Pripiat’. Gente che cominciava alla Centrale la propria vita lavorativa. Gente che creava la propria famiglia a Pripiat’ e ci piantava le proprie radici.
       Durante le vacanze, il nostro accompagnatore nella Zona, Serghey Cernov lavo-rava nei cantieri edili di Pripiat’ gi; dal primo corso dell’istituto universitario dove studiava. (i cicli di studio negli Istituti e nelle Universit; sovietiche duravano 6 anni – n. d. V.Z.).
       «Qui, tra la citt; e la ferrovia, ogni l’estate c’era una borgata studentesca con i tendoni, dove alloggiavano gli studenti dei 36 istituti universitari della regione di Kiev che lavoravano nell’edilizia» racconta Serghey durante il viaggio. «Che tempi felici erano! E adesso?.. Niente!»

       Nella borgata studentesca Serghey aveva trovato il suo amore. E nella stessa bor-gata aveva organizzata le sue nozze. Ma dopo l’esplosione nucleare ora Serghey abita in una regione ucraina lontana da Kiev e da Chernobyl.
       Non c’; pi; la sua amata Pripiat’.
       Non c’e pi; la sua famiglia.
       Ci sono solo i suoi viaggi di lavoro nella Zona Chiusa.
       Ogni 16 giorni, tormentosi viaggi nel passato...


       Non ; facile orientarci nella Zona per chi viene a Chernobyl per la prima volta. Per me ; una doppia fatica. Ascolto i racconti e i commenti di Cernov e di Stashuk prendendo appunti sul mio notes; traduco in italiano le conversazioni e i racconti per Riboni e viceversa; osservo “la danza” vivace delle cifre sul radiometro di Serghey e i paesaggi guizzanti fuori dai finestrini del nostro “Volksvagen”.
       Dopo il quartiere delle vecchie case popolari di Chernobyl, la macchina entra nelle vie con le case ad un solo piano. Le strade in questo rione della citt; sono disa-strate e la macchina deve zigzagare tra le buche.
       I tetti delle case sono piegati verso l’interno e dappertutto sono bucati delle piante cresciute dentro le case. La natura invade le abitazioni dell’uomo, coprendo i processi distruttivi con tripudio di colori autunnali. Le foglie dorate, verdi e rosse, nei giardini e negli orti, si mescolano sono con il suolo nero dissodato.
       «Anche qui, nel pieno centro citt;, ci sono i cinghiali?» chiede D. Riboni.
       «Si. Loro ci sono dappertutto! Perch; non ci sono abitanti» confermano Serghey e P¸tr.
       «Sapete cosa c’; qui di pi; perverso?» continua Cernov con tanta amarezza nella voce.
       «Qui non c’e una scuola, un asilo, una biblioteca... Qui voi non vedete neanche un bambino...»

       Attraversando tutta la citt;, quel 27 ottobre 2006 vedemmo solo tre persone: da lontano: due uomini ed una donna.

       Uscendo da Chernobyl, le cifre sul display del radiometro cominciarono a muo-versi: 0003, 0004, 0006, 0009...
       In vista della Centrale, vicino al villaggio seppellito di “Kopaci”, le cifre salgono a 0030m(20-25 microraggi x/h ; la normalit;);
       a fianco di un cantiere di lavorazione del calce-struzzo, le cifre cambiano ancora: 0087, 0088, 0089.
       All’altezza della foresta che si chiama “Il Bosco Rosso” il nostro autista, no-nostante l’asfalto rovinato, aumenta al massimo la velocit; della macchina. Le cifre crescono: 0118... 0128... 0131... 0142...0167... 0176... 0186...; accanto al monumento con la torcia: 0571!...


       Il nome “Bosco Rosso” era nato dopo l’esplosione e in questi ultimi 21 anni fi-gura in tutte le informazioni e i documenti ufficiali. Nel bosco di conifere a lato della Centrale, nella notte del 26 aprile 1986 erano cadute parecchie tonnellate di detriti irradiati scagliati dall’esplosione dell’impianto. Le macerie caotiche, le polveri e i frammenti radioattivi bruciarono per 2-3 giorni, emanando radiazioni enormi. Ad esempio, il 30 aprile 1986 il livello delle radiazioni era di 30-40 raggi x/h; il 5 maggio 60 raggi x vicino al reattore n° 3; 800 raggi x/h nella citt; di Pripiat’; 1000 nella zona dell’impianto n°4. Le dosi mortali avevano colpito non solo l’uomo, gli animali, gli uccelli, gli insetti, ma anche le piante. Il bosco sempreverde di conifere tra Chernobyl e la stazione nucleare, cambi; il suo colore diventando marrone e rossiccio. Le radia-zioni colpirono non solo i rami e i fusti ma uccisero anche la clorofilla negli aghi degli abeti. Dapprima la morte raggiunse gli alberi vicini alla Centrale, poi di diffuse in tutto il bosco.

       Nell’estate 1987, il Bosco Rosso ; stato abbattuto e seppellito, insieme alle ma-cerie radioattive che lo avevano distrutto. Sopra fu steso uno strato di sabbia e poi, a difesa del vento, una coperta di materiali polimerico.
       Oggi in questo posto cresce ancora l’abetaia. Ma gli alberi sono diversi di prima. Anche passando a tutta velocit; con la macchina, si pu; vedere che ci sono tanti alberi sfigurati, secchi, deboli. Ci sono molti radure senza alberi e senza erba. Come testimoniano i nostri accompagnatori Serghey Cernov e P¸tr Stashuk, nel Bosco Rosso ci
sono ancora oggi dei tratti con una radioattivit; enorme.

       «Ma voi venite qui continuamente con i visitatori. C’; qualche difesa almeno per voi stessi?» Domando osservando i loro sguardi.
       «La velocit; ; la nostra difesa in questo luogo!» ride vigorosamente l’autista.
       «Pi; veloce attraversi il Bosco Rosso, meno radiazioni prendi.»
«Esatto!» Conferma Serghey nascondendo il sorriso sotto i baffi. «Anche se la strada ; cosi rovinata, vado lo stesso ad una velocit; di almeno 60 km/h. Per quanto riguarda i visitatori, ad esempio quest’anno sono venuti a visitare la Zona almeno
20.000 persone. Erano particolarmente tanti nei giorni del 20-esimo anniversario del
disastro nucleare. Sei autoveicoli dell’Agenzia lavoravano in quei giorni senza sosta.
       Nel 2005 ; venuto anche il nostro Presidente, Victor Yushenko.»


       Pi; ci avviciniamo al Sarcofago che copre l’impianto esploso, pi; velocemente si muovono le cifre sul radiometro.
       «Le radiazione sono superiori alla norma di 10 volte..., di 15..., di 20 volte...» risuonano in macchina brevi commenti.
       Poi ci fermiamo a 100 metri dal rifugio-Sarcofago. Dobbiamo sbrigarci, fare le foto il pi; presto possibile e fuggire da questo luogo. Quel giorno il livello delle radiazioni era molto alto.
       Da cosa dipende il livello delle radiazioni nell’ambiente dopo 21 anni dallo scoppio, nessuno ha saputo spiegarmelo. Avevo saputo solo che nei giorni soleggiati le radiazioni nella Zona sono sempre pi; alte. Il giorno in cui noi eravamo nella Zona splendeva un sole bellissimo.

       Descrivendo la situazione per Riboni, aggiungo che questa volta io rimango in macchina.
       «Per favore, faccia velocemente le sue riprese e scappiamo da qui!»
       «Ok! D’accordo!» in tutta fretta esce fuori e comincia a fotografare di corsa la struttura nucleare.
       Anche l’autista rimane al suo posto. E anche Serghey, dopo aver accompagnato Riboni nel posto migliore per fare delle belle foto, ritorna rapidamente in macchina. Un rifugio non tanto sicuro ma meglio che niente.
 
       Conversiamo in tre, osservando le squadre di operai saldatori e muratori, che lavorano sul Sarcofago per chiudere le numerosi crepe sulle pareti e sul tetto di cal-cestruzzo.
       «Se ; cosi pericoloso rimanere qui, a 100 metri dal sarcofago, e per un lasso di tempo cos; breve, cosa ricevono i loro corpi addossati alle mura?» Provavo compas-sione per questa gente e mi si stringeva cuore.
 
       «Signor Riboni, andiamo! ; troppo pericoloso qui!!!» mandai un grido disperato.
Ma il mio compagno di viaggio, pian piano, si era gi; intromesso nella zona vietata alle riprese e febbrilmente girava video. Non si fermava pi; e pareva non aver intenzione di tornare. Finch; io e Serghey saltammo fuori dall’auto e gli urlammo a
due voci (e due lingue...) che dovevamo andare.
       Finalmente Riboni ritorn; correndo verso il “Volksvagen”.
       «Ecco, ci mancavano solo i guai con la sicurezza!» Pensai amareggiata per il suo imprevedibile comportamento.


       Il “Benefattore”. Questo ; il secondo nome del Sarcofago, datogli dal personale di servizio nel 2000. Un senso di umorismo amaro della gente diseredata. Erano 11.000 gli operai che lavoravano alla Centrale prima del disastro. Oggi continua a lavorarne a tre volte in meno.
       Per tutti coloro che sono ancora in servizio, il Sarcofago ; considerato il be-nefattore che da loro un lavoro e uno stipendio. Migliaia di loro colleghi sono stati licenziati dopo la chiusura della Centrale. Sono rimasti senza lavoro e senza speranza di trovarlo. Attualmente sono cittadini di Slav;tic, una citt;-dormitorio costruita in poco tempo dopo l’evacuazione di Pripiat’. Anche Slavutic, come prima Pripiat’, era destinata al personale di servizio della centrale atomica di Chernobyl. Centrale, che il governo dell’ex-Unione Sovietica voleva continuare ad utilizzare anche dopo il disa-stro. Per questo motivo a Slavutic non era stato programmato la costruzione di aziende
o imprese. La citt; doveva essere un dormitorio e anche oggi ; impossibile trovare un lavoro.
       Slavutic ; situata a 30 km dalla Centrale. Una citt; ucraina in territorio bielorusso con pi; di 26.000 abitanti. Tra la stazione nucleare spenta e la citt; di Slavutic c’; una diramazione ferroviaria, che serve i dipendenti della Centrale. Ogni giorno, al matti-no e alla sera, tutti i dipendenti attraversarono la frontiera tra Ucraina e Bielorussia. L’Ucraina ; costretta a pagare le spese per il personale ferroviario, ed ; anche costretta ad usare questa diramazione.
       Prima del dissolvimento dell’Unione Sovietica, era assolutamente indifferente dove ; situata una citt;, un’azienda, un bosco o un mare, perch; le frontiere interre-pubblicani esistevano solo simbolicamente. Dopo la “perestrojka” di M. Gorbaciov, quando le repubblice sovietiche diventarono Stati, l’ubicazione di Slavutic cre; non pochi problemi.
       Ad esempio, una circolare del Presidente della Repubblica Bielorussa Alexandr Lucashenko, proib; il passaggio degli autoveicoli nel territorio bielorusso, dalla Centrale a Slavutic e viceversa. Nei casi di violazione di questo ordine le macchine erano sequestrate dai bielorussi.


       Dopo la Centrale, andiamo a visitare la citt; deserta di Pripiat’ dove lavorano 50 persone ma, dal 1986, non ci abita pi; nessuno.
Se al punto di controllo di Chernobyl abbiamo visto qualche sentinella, all’entrata principale di Pripiat’ incontriamo una squadra di poliziotti. Nella Zona se ne contano
circa 300, compresi i vigili del fuoco.
       Ancora ci fermiamo ad un punto di controllo davanti ad una sbarra chiusa. Ancora portano i nostri documenti dentro la garitta e cordialmente ci salutano col sorriso: “Buon viaggio e buona visione.”
       Io, osservando i giovani ragazzi in divisa, che lavorano in questo posto perico-loso, provo ancora una profonda compassione. Adesso loro lavorano. Sono contenti e ricevono regolarmente lo stipendio, al contrario di altri colleghi e connazionali. Ma cosa succeder; prossimamente alla loro vita?


       In qualche minuto attraversiamo Pripiat’.
       La citt; nasconde i suoi quartieri di case popolari di molti piani, tra altissime e folte erbacce. L’asfalto ; tutto strappato e rovinato dalle radici delle piante. La piazza centrale della citt;, dove ci fermiamo per entrare nel teatro popolare di Pripiat’, non si pu; pi; chiamare “la piazza” perch; lungo tutto il suo perimetro solo pochi spiazzi non sono ancora stati invasi dalle erbacce e dai cespugli.
Ci avviammo tutti e quattro nella boscaglia verso il teatro, dietro il quale, nel passato, c’era un parco per i bambini.
       “Era un parco molto bello e ricco di attrezzatura per i giochi. Tutto era nuovissimo e fummo costretti ad abbandonare tutto.”

       «Un uomo!» il mio grido ruppe il silenzio che regnava intorno.
       «Dove?!» Mi chiedono allarmati Cernov e Stashuk voltandosi verso di me.
       «Di l;!» indico la direzione, dove ho visto tra le piante una persona.
       «Ah, ah, ah... Tranquilli... Questo ; l’autista che ha portato qui un altro gruppo. Quelli di Belgrado» spiega Serghey. E noi, salutando calorosamente l’unico essere umano visto a Pripiat’, procediamo per il nostro percorso.

       Sotto i piedi si frantumano cumuli di macerie.
       Calcestruzzo diroccato dappertutto.
       Le radici e il muschio verde coprono l’asfalto rimasto. Tra la boscaglia, davanti al teatro, quasi invisibile anche da vicino, c’e una fontana di vetrocemento distrutta.
       Ventuno anni fa era una graziosa e bella struttura di tre piani. Oggi ; solo un rottame in sfacelo. L’erbaccia e le piante malaticce sono cresciute anche sul tetto del teatro e sui cornicioni degli edifici circostanti, compreso l’ex-Municipio.
       La vegetazione passa all’offensiva e pian piano invade tutta la citt;, nascondendo, spersonalizzando e distruggendo tutti i beni materiali dell’uomo. Costringendo al silenzio muto e in-quietante questa citt; desolata.


       La mia attenzione ; attratta dagli alberi cresciuti nella piazza. Molti hanno la forma d’arbusto. Un’anomalia evolutiva? Peccato che non abbiamo un biologo nel nostro gruppetto. Non c’; nessuno intorno che pu; rispondere alla mia domanda.


       Penetrano nell’anima “gli sguardi” vuoti delle finestre-occhi delle case di molti piani. Come raccontano Sergei e P¸tr, in un appartamento del nono piano ; rimasto ancora un pianoforte.
       Stringono il cuore i pezzi di tessuto informe e incolore, rimasti stesi sui fili della biancheria sui balconi della citt; deserta. Deformati e strappati dalla pioggia, la neve, il gelo, il vento, sono i resti degli abiti degli sventurati cittadini di Pripiat’.
       Nei vasi dei fiori sui terrazzi e le balconate, fanno il nido gli uccelli. Dopo Chernobyl le rondini hanno cambiato il colore delle piume del collo. E si rifiutano di accoppiarsi con i loro simili. A Pripiat’, e intorno al Sarcofago, si sono moltiplicati in modo anomalo i gufi...
 
       Mentre ci avviciniamo al teatro, le cifre sul display dell’apparecchio per misurare le radiazioni, aumentano. 0052..., 0058..., poi balzano pazzamente fino al massimo e l’apparecchio, con un bip bip disarmante si spegne. Ma noi, dopo ancora qualche pas-so, raggiungiamo finalmente l’entrata del teatro.

       Le porte sono aperte.
       Dentro, dappertutto cumuli di macerie, frammenti di mobili, carta stampata, ritratti di politici e simboli dell’epoca sovietica, coperti da strati di polvere.
       Il primo che balza agli occhi ; un vistoso ritratto di Breznev Leonid Illic...
       (1906 – 1982) – leader politico sovietico. Segretario Generale del PCUS (Partito co-munista dell’Unione Sovietica) dopo l’allontanamento di Khrusc¸v Nikita Sergheevitc (1964). Breznev L. I. dal 1977 assunse anche la carica di capo dello Stato. Condusse una politica di potenza mondiale sostenendo la gara nucleare con l’Occidente ed esten-dendo la presenza militare nel Terzo Mondo. Mantiene un rigido controllo ideologico all’estero (seguendo la dottrina sulla “sovranit; limitata” dei paesi socialisti) e represse il dissenso all’interno.
       Durante l’epoca di Breznev erano ripresi gli arresti dei dissidenti. Proprio dal 1964 hanno cominciato portare in carceri e nei lager scrittori, giornalisti, poeti, pittori, musicisti, avvocati. Molti tra loro erano membri del gruppo di Helsinki, molti tra loro erano ucraini. Sottoposti delle torture e umiliazioni, molti tra loro furono uccisi in prigione. Come, per esempio gli scrittori e poeti ucraini Vaciliy Stus, Aleksey Tichiy, Yurij Litvin. Come all’epoca di Stalin I., Breznev L. I. aveva dato “il semaforo verde” per la decapitazione della Cultura, dello Spirito e della Dignit;..-nota di V.Z.)
 
       Riboni posa il ritratto polveroso di Breznev, caduto in una fine ingloriosa, in un angolo, appoggia accanto al ritratto un piccolo simbolo del komsom;l (Asociazione pansovietica leninista dei giovani comunisti) con un’immagine di Lenin Vladimir Illic e cerca di fotografare questi due leader, invece io, sentendomi soffocare da tutto ci; che c’; li dentro, esco fuori, all’aria pulita.
       “Pulita” se contiamo gli invisibili ma sempre presenti, radionuclidi.


       Due-tre anni fa sono cominciate tra le l’autorit; le discussioni intorno all’opportunit; di proibire le visite guidate nella Zona. Perch; nelle case spopolate e decrepite, esiste la pericolosit; di possibili crolli. Ma la decisione definitivo finora non ; stato presa.
       Mentre le discussioni continuano, i visitatori stanno aumentando anno dopo anno.
       Secondo me la cosa pi; stupida, agghiacciante di questa situazione, sono le escursioni che ultimamente organizzano per i giovani.
       Indubbiamente, l’Uomo si abitua a tutto. Si sono abituati anche in Ucraina a vive-re vicino ad un impianto nucleare minaccioso e in un ambiente avvelenato. Cercano di non pensarci troppo sapendo che ; impossibile migliorare o cambiare. C’; l’abitudine di fare compiere atti eroici: “Non mi succede niente nella Zona!”
       Ma tante persone, tra le nuovi generazioni, come ho potuto costatare, molte volte sia in Ucraina, che in Russia, si comporta cos; per ignoranza assoluta sulle conseguen-ze a la pericolosit; dell’irradiazione e delle procedure di protezione civile.
Secondo me, l’ignoranza della giovent; ce l’hanno sulla coscienza gli Enti sta-tali e i governati. Eppure anche oggi, come due decenni fa, non ci sono in Ucraina prontuari o pubblicazioni con informazioni chiare sull’argomento. E se mancano le spiegazioni, facilmente accessibili, sulla pericolosit; esistente nella Zona, la gente curiosa non potr; mai capire i valori di radioattivit; rilevati dai misuratori della radia-zione. Anche se porter; con se numerosi apparecchi, non sapr; interpretare quelle che scorrono sui display.
 
       Ma perch; non dicono in modo chiaro e onesto che, ancora oggi, ; molto pericoloso visitare la Zona? Perch; tengono nascosto che la maggior parte dell’Ucraina ; ancora contaminata dai radionuclidi del 1986?
       Se subito dopo il disastro i radionuclidi penetrarono direttamente nei corpi umani attraverso gli organi di respirazione, adesso essi si sono accumulati nel suolo e nell’ac-qua e colpiscono l’uomo attraversando la catena biologica dell’alimentazione,
       Perch; non fanno sapere a tutta la comunit; mondiale il fatto inconfutabile dell’insicurezza, la vulnerabilit; e la permeabilit; del rifugio-sarcofago, che continua a contaminare l’Ambiente con gli isotopi radioattivi?
       Anche se alcuni Enti statali ucraini sono stanchi dell’indifferenza e del disinteresse della comunit; mondiale che tarda a prestare aiuto all’Ucraina. Anche se qualcuno senta dentro di se l’umiliazione e l’indignazione ad andare, come si dice, “... nel Mondo con una mano allungata”, non ci si pu; fermarsi e tacere!
Eppure, l’immobilismo mette in gioco la vita non solo d’Ucraina, ma di tutta pianeta.
Ricordare questo cose e ripeterle continuamente ai popoli ; vitale.


       * * *
       (Continua...)


Ðåöåíçèè