***
“IL SENTIMENTO DI UNA MADrE verso il figlio ; un classico esempio d’amore. Per la sicurezza, la protezione e il benessere dei suoi bambini,
una madre ; pronta a sacrificare la sua stessa vita. Consapevoli di ci;, i figli devono essere grati alle loro madri ed esprimere la loro riconoscenza compiendo azioni virtuose.”
DALAJ LAMA
"Prima di Chernobyl...»
«Dopo Chernobyl...»
Due locuzioni radicate dall’aprile 1986 nel lessico delle vittime e dei popoli slavi. Entrati poi anche nel linguaggio di molti Paesi occidentali.
Due frasi con un orribile significato recondito. Con un sottosenso di scissione della vita di milioni persone in due parti. Con un senso contrastante. Nella prima parte la felicit; e la gioia, nella seconda il dolore e la disperazione...
Prima di Chernobyl, tante famiglie con bambini dell’ex-Unione Sovietica, dove le disponibilit; lo consentivano, comperavano il latte direttamente dai contadini-alle-vatori per migliorare l’alimentazione dei loro figli. Nei negozi, in quei tempi, il latte messo in vendita aveva la consistenza dell’acqua e aveva un colore innaturale: pallido-turchino. E poi, sempre le code, le code, le code...
Anch’io risolvevo in questo modo il problema del latte per miei bambini, le mie due sorelle, le mie amiche.
Non poteva comportarsi diversamente anche mia cugina Anna, che abitava in quel periodo nella confortevole Pripiat’ insieme al marito, direttore della principale
banca della citt;, e alla piccola figliola Katia, di 20 mesi. Nella notte di 26 aprile 1987, verso l’una, Katia improvvisamente scoppi; in
lacrime, svegliando i genitori. Anna la calm; e la fece riaddormentare e quindi si
avvicin; alla finestra e guard; fuori. Tutto era tranquillo. La citt; dormiva e Anna si
rimise a letto.
Al mattino successivo Anna and; a prendere il latte in un villaggio vicino. Dappertutto si incontrava un insolito numero di poliziotti in tuta mimetica. Alcuni portavano le maschere antigas.
“Forse sono in corso delle esercitazioni” pens; Anna. Vicino alla ferrovia fu fermata dai militari che le chiesero dove andasse...
“A prendere il latte per la mia bambina! Laggi;.” Rispose loro mostrando il reci-piente ed indicando il villaggio gi; in vista.
I militari hanno lasciar passare... (Il polvere radioattivo aveva gi; coperto tutto: le strade, gli edifici, i campi, i giardini, i fiumi, gli animali, gli’uccelli, gli insetti, etc.; 48 ore dopo l’esplosione del reattore nucleare, lo iodio radioattivo era gi; presente nel latte delle mucche che pascolavano sul prati della Poles’e.)
Quando sentirono la notizia che nella Centrale c’era stata un’esplosione, che l’incendio divampava e che i cittadini sarebbero stati evacuati, Anna e suo marito caricarono in automobile la figlioletta e quattro amiche con i loro bambini piccoli ; partirono per la capitale Kiev. Pensarono di essere stati fortunati quando la loro mac-china, piena di donne e bimbi, lasci; la citt;. Ma subito si resero conto che la strada era intasata e ogni dieci metri si dovevano fermare.
“In auto” ricorda Anna “era un inferno per il poco spazio e il caldo insopporta-bile. Tutti i bambini piangevano senza sosta e poco dopo la partenza cominciarono a vomitare. Noi pensammo che fosse colpa delle condizione del viaggio e la mancanza d’aria. Ma erano invece le prime reazioni dei loro piccoli corpi alle radiazioni “ rac-conta mia cugina con gli occhi pieni di lacrime.
“Quel giorno la strada per Kiev divent; lunghissima. Eravamo in viaggio da circa cinque ore per percorrere una distanza di 130 km! Anche noi adulti sentivamo la nausea che ci saliva in gola, e ci stupimmo di essere colpiti dalla dissenteria perch; non avevamo mangiato quasi niente. Tutti questi sintomi erano causati dalle radiazioni di cui, durante la nostra fuga da Pripiat’, non sapevamo niente! Tutti noi, che facemmo quell’orribile viaggio, ci ammalammo subito dopo. Tutte le mamme, tutti i loro figli. Compreso mio marito e Katia, la nostra unica figliola.”
Adesso Katia ha 23 anni. Prima di Chernobyl era sana ma dopo Chernobyl, cio; dal 1986, soffre di malattie causate dalle radiazioni: ha problemi nella produzione san-guigna, ha subito interventi alla tiroide, non pu; sopravvivere senza medicinali. Il suo peso ; di 43 chili soltanto, ed ; alta meno di 1 metro e 50. Ma nonostante la sofferenza fisica e morale Katia si ; laureata in lingue e continua di studiare. Dall’ottobre 2006 ha trovato anche un lavoro precario in una televisione locale della capitale dell’Ucraina.
Il padre di Katia, dopo aver sistemato provvisoriamente le donne e i bambini a Kiev, torn; a Pripiat’ per motivi di lavoro legati alla sua responsabilit; di direttore della Banca, ma prima di tutto per la sua disponibilit; e la sua onest;. Molte persone, partiti autonomamente nei primi momenti, non ritornarono pi; nella zona mortalmente contaminata per salvare i beni materiali. Credo che la loro decisione sia stata ragio-nevole. Anche se allora li accusarono di diserzione. Ma pi; tardi una quantit; enorme di beni materiali della Zona, avvelenati dai radionuclidi, furono distrutti e seppelliti sotto montagne di terra.
Il ritorno a Pripiat del padre di Katia subito dopo il disastro nucleare, le ha causato la distruzione della sua salute e la perdita del lavoro. Sono ormai tanti anni che lui ; invalido ed ; costretto a curarsi nelle strutture mediche specializzate per 5-7 mesi all’anno. Solo le persone colpite da un Destino orribile nel fiore degli anni e nel pieno delle forze, possono capire la tragedia interiore di questo uomo intelligente. Solo loro possono sentire la sua sofferenza infinita, non solo per la debolezza e i dolori fisici, ma anche per le insopportabili torture dell’anima.
Dopo Chernobyl, in Ucraina tante persone sono ridotte come lui. In migliaia sono lasciati a se stessi negli ultimi anni perch; l’aiuto dello Stato quasi finito.
Anche la cugina Anna ; invalida. Anche lei, dopo Chernobyl, non pu; vivere senza medicinali. Ma nonostante la pesante situazione della sua famiglia, nonostante la perdita di ogni loro bene, frutto del loro lavoro, Anna non cede alla depressione e non perde la speranza per un futuro migliore, almeno per la figlia. Anna ; molto socievole e sempre attiva. E’ sempre stata cosi. Anche oggi si impegna nella vita politica e culturale della capitale (la sua famiglia si ; stabilita a Kiev dopo la perdita dell’appartamento a Pripiat’). Cerca di guadagnare qualcosa facendo diverse lavori. Grazie alla sua attivit; altruistica, qualche anno fa la figlia Katia, ancora adolescente, fece tre viaggi in Francia insieme ad altri bambini di Chernobyl (cos; vengono chiamati, dopo il disastro nucleare, tutti i discendenti degli abitanti della Zona.) E anche la famiglia francese che ospit; Katia in Francia, and; una volta a Kiev e fu ospitata della famiglia di Anna. La collaborazione ; stata interrotta qualche anno fa per difficolt; economiche degli amici francesi.
Purtroppo nessun altra proposta ; arrivata ad Anna. L’organizzazione interna-zionale che opera nell’ambito dell’ospitalit; dei bambini ucraini, vittime di Chernobyl, non potr; mai pi; invitare Katia in altri Pesi..
...Ritornando dalla Zona interdetta sono ancora costretta a subire le domande incalzanti del mio compagno di viaggio D. Riboni, che, con fervore, vuole visitare i centri specializzati dove, secondo lui, dovranno essere (vivi o conservati) i mostri di Chernobyl.
«Io li voglio fotografare» ripete ancora e ancora. «Lei ha chiesto gli indirizzi di questi centri all’Agenzia? Magari Serghey sa dove sono e come si pu; entrare.»
«No!» le rispondo.
Riboni offeso cessa di parlare.
“Muro contro muro” penso ricordando le nostre prime discussioni in Italia su questo argomento dei mostri e dei mutanti di Chernobyl. Chiss; cosa aveva in testa Riboni o cosa immaginava, ma ogni volta che veniva nel mio ufficio cercava di portare la conversazione su questo tema. Un giorno mi port; delle foto che lui scattate in Palestina. Raccontando la storia di questo suo viaggio mi mostr; una fotografia in bianco e nero:
«Ho avuto la fortuna di scattare questa foto! Quando hanno cominciato a spa-rare nel luogo dove eravamo, noi abbiamo trovato un nascondiglio dietro un angolo.
Improvvisamente si ud; uno scoppio fortissimo e un istante dopo, proprio davanti a
me, cadde un braccio staccato! Io, prontamente scattai la foto poi...»
«La fortuna?» Rimasi senza fiato. Interruppi il suo emozionato racconto e, senza posarvi lo sguardo, allontanai la foto. «Questa ; fortuna?»
«Ehm-ehm... in senso...» ripose la foto e cambi; discorso.
Riflettendo sull’argomento e volendo chiarire tutto sin dall’inizio, prima di partire per l’Ucraina io stessa sollevai una questione di moralit; e di principio.
Concludendo in mio discorso cosi: “Anche se nell’ex-Unione Sovietica, e nell’Ucraina di oggi, dicono che tutto ; occulto, sappiamo bene che allo stesso tempo nulla ; segreto. E se noi, che abbiamo vissuto l; per anni e anni dopo il disastro, non abbiamo mai sentito le chiacchiere sui “mostri” e sui “mutanti”, significa che loro non esistono. Un’altra cosa, anche se ci fosse qualche essere vivente anomalo, e anche se avessimo la possibilit; di vedere e fotografare questo poveretto, come vuole lei, io non metter; mai foto di questo genere nel mio libro!”
Pare che Riboni non abbia creduto a questa mia affermazione ed, irremovibile, continu; a persistere per tutto il periodo della sua permanenza in Ucraina, come fosse proprio questo era il suo scopo principale.
Io invece volevo fargli conoscere il Paese, il popolo, le tradizioni le istituzioni, fare ricerche ed analisi, raccogliere le testimonianze delle vittime del disastro nucleare di Chernobyl per realizzare il Progetto di solidariet;.
Nonostante l’indisposizione che mi colp; il giorno successivo il viaggio a Chernobyl, partecipammo in una serie di incontri, riunioni e inaugurazioni con i rap-presentanti dell’Autorit; statale e la societ;; con numerosi vittime della catastrofe; con dirigenti e membri delle Associazioni di “SOYUS-CHERNOBYL” costituite in ogni citt; ucraina; con medici locali e scienziati che si occupano delle vittime; con studenti, scrittori, poeti e musicisti, con giornalisti dei giornali ucraini, radio e TV. Visitammo anche alcune famiglie con bambini ed adolescenti invalidi.
Secondo le testimonianze (documentate) dei medici, il numero di invalidi porta-tori di patologie gi; dalla nascita, ; aumentato moltissimo dopo di Chernobyl.
Ma questo fatto reale non dice nulla ad alcune persone... Nemmeno ad alcuni Enti statali e leader politici. Purtroppo, tra noi, sono in molti che ci guardano ma non ci vedono.
.......................
Ecco i racconti, e il destino, di alcune vittime di Chernobyl intervistate l’autunno scorso nell’Ucraina. Con il loro consenso, tutti i nomi sono veri.
Kucer;nko Hal;na P;vlovna
(cognome) (nome) (riferimento al nome del padre).
Una donna attraente. Come tradizione che caratterizza gli slavi, le donne sono belle a prima vista. Una donna con la pettinatura rigogliosa e con i grandi occhi casta-ni pieni di fatale tristezza.
Halina mi racconta la storia del suo figlio Kucer;nko Vlad;mir Aleks;ndrovic, che al momento dell’incontro aveva di 42 anni. Cio;, nell’anno della catastrofe nuclea-re aveva solo 22 anni.
«Ho cresciuto ed educato Vladimir. Da quando aveva 12 anni ho dovuto fare da sola» racconta Halina. «Nel 1983-84, grazie Dio, ha fatto il servizio militare senza problemi ed ; tornato da me. Lavorava in un deposito come autista. Il 21 luglio 1986 ricevette un precetto dal distretto militare che lo obbligava a partecipare ad un’eserci-tazione per un breve periodo di cinque giorni.
Solo la nonna ebbe un sospetto: “Esercitazioni?.. Sicuramente lo manderanno a Chernobyl!” Aveva ragione! Mandarono Vladimir proprio di l;. Con il suo camion tra-sportava nella Zona materiali edili per la costruire il Sarcofago. E lavor; a Chernobyl per 50 giorni, non 5, come era scritto nell’avviso. Torn; il 5 settembre, dimagrito e stanco. Ma i vigili urbani locali, appena seppero che lui era tornato dalla Zona, subito vietarono al suo camion di fermarsi nei posteggi della citt;. “La tua macchina ; con-taminata, vai via! Fuori da questa citt;!”
«Forse avevano ragione, nonostante il loro offensivo modo di parlare. Molte cose fortemente irradiate emanano radionuclidi loro stesse. Ma mi stupisce come Vladimir abbia potuto lasciare Chernobyl con il proprio camion? Mi ricordo questi tempi. Tutti dicevano che gli autoveicoli utilizzati nella Zona per costruire il sarcofago venivano distrutti e seppelliti.”
«Infatti!» continua Halina. «Ma come vede non sempre era cosi. Mio figlio ; tornato con il proprio autocarro. Ha percorso quasi 500 kilometri di strada dopo 50 giorni nella Zona. Chiss; quante radiazioni ha ricevuto? Ma i vigili dovevano trovare qualche soluzione intelligente, non cacciare Vladimir e la sua macchina contaminata dopo due ore dall’arrivo al posteggio della sua citt;. Tutti pensavano solo al metallo, ma alle persone, ne allora ne adesso, non ci pensa nessuno. Quanti sono nelle con-dizioni di mio figlio in questo Paese? Quanti ne hanno buttati nell’inferno nucleare quando erano ancora quasi bambini?!
Subito dopo il ritorno da Chernobyl, Vladimir cominci; a soffrire di mal di testa. Il dolore era tormentoso, continuo. Velocemente perse la vista, poi cominciarono i pro-blemi di respirazione, di circolazione e cardiaci. Fu operato alla tiroide e dopo quattro anni non pot; pi; di lavorare come autista. A 26 anni non fu pi; capace di svolgere nessun lavoro! Dal 1992 ; diventato invalido di seconda categoria. Questa ; la vita di un giovane ragazzo? E per me, sua madre, che dedicavo tutta me stessa al mio tesoro, questa ; vita? Adesso ogni anno Vladimir trascorre circa 8 mesi in ospedale. E sem-pre deve andare a curarsi a Kiev, perch; nella regione non ci sono cliniche e medici adeguati.»
Nel 1997 i medici dell’Istituto di Neurochirurgia di Kiev hanno diagnosticato a Vladimir un sospetto gonfiore al cervello di 1,5 centimetri. La malattia si aggrava anno dopo anno e adesso il gonfiore ; di 4,8 centimetri. I medici propongono l’inter-vento chirurgico ma la famiglia, che ha gi; venduto ogni suo bene pi; prezioso per sostenere le spese per le cure: la macchina, la dacia, la casa della nonna, non ha pi; risorse per un altro viaggio a Kiev e sottoporlo ad un nuovo intervento.
«Sono disperata! Non so pi; cosa fare, dove cercare l’aiuto per salvare il mio figlio» piange Halina. «Volevo vendere anche l’ultima cosa che mi ; rimasta, la mia casa, per portare Vladimir in un Istituto di Kiev. Ma Vladimir dice che ; stanco di lottare ancora per la sopravivenza, senza alcuna speranza di miglioramento. Dice: “Meglio che io muoia. Non permetter; che tu, per colpa, mia rimani senza casa”.»
Talvolta noi conosciamo meglio la vita e i drammi di gente estranea che non le tragedie dei nostri cari, dei nostri amici e vicini. Cosi ; successo questa volta anche a me.
...
Zegl;taja N;lli J;kovlevna.
Ci conosciamo da tanti anni. Prima di Chernobyl.
Negli anni novanta, ogni tanto ci incontravamo per motivi di lavoro, quando io lavoravo nei giornali e TV e lei alla radio. Ho sentito una volta (dopo di Chernobyl) che Nelli era fidanzata con un liqui-datore. Ma parlare di queste cose, allora, era considerano indecente. Chernobyl, anche tra la gente di comune, rimaneva una specie di tremendo orrore segreto.
Incontro Nelli nell’ottobre 2006.
Aveva organizzato l’incontro una filiale di teleradio “LTAVA” (regione di Poltava), di cui ; capo redattore Nadia Bag;nez.
Nelli racconta:
«Eravamo fidanzati, dovevamo sposarci in autunno, quando il mio futuro sposo
Zegl;tiy Vladimir Viktorovic fu chiamato, con avviso del distretto militare, per “un
breve periodo di esercitazione”. Questo ; successo il 13 settembre 1987 e nello stesso
giorno lui si ritrov; a Chernobyl.
Era il comandante di un drappello di soldati che lavorava sul terzo reattore dan-neggiato della Centrale. Circolavano voci allarmanti sulla possibilit; che anche il reattore n° 3 potesse esplodere»
“E’ vero, anch’io mi ricordo queste voci.”
«Ecco. E proprio il mio Volodia, (“Vol;dia” oppure “V;va” o “V;vcik” ; il diminutivo del nome Vladimir), con i suoi soldati, lottava contro un nuovo gua-sto e per prevenire un nuovo disastro nucleare. Vladimir ; stato a Chernobyl fino il 1 ottobre 1987, cio; 48 giorni.
Prima del ritorno, fu avvisato con una sola frase sinistra: “... meglio non avere i figli per i prossimi 5 anni”. Ma cosa sarebbe potuto succedere ai figli, nessuno glielo spieg;. In compenso fu obbligato a serbare il silenzio sull’argomento.
La nostra primogenita J;na, nata nel 1988, sin dalla nascita ha problemi con il cuore, con il sistema respiratorio e la tiroide.
Il nostro secondo figlio Al¸sha,(«Àl¸sha» ; diminutivo del nome Aleksey),
nato nel 1994, ; ammalato dall’et; di 2 mesi. A 5 anni aveva gi; l’anemia, (Anemia» – diminuzione dell’emoglobina nel sangue, spesso dovuta alla carenza dei globuli rossi),
discinesia (discinesia» – movimento anormale e involontario dei muscoli del corpo, dovuto ad alterazioni della sistema nervoso).
...La nostra vita scorre tra infinite visite negli ospedali e visite mediche, infinite cure e somministrazione di medicine. Al¸sha non ricorda ne se stesso, ne il pap; senza malattie.
Chiedeva una volta:
“Perch; il nostro pap; ; sempre ammalato e non guadagna i soldi come gli altri?” Cosa si pu; rispondere ad un bambino? Come spiegare perch; il suo pap;, dall’et; di 36 anni, non per colpa sua, ; diventato invalido con una misera pensione statale di 284 grivni?!” (Il“grivni” ; la moneta ucraina. Nell’ottobre 2006,
284. 00 grivni corrispondevano a ˆ 43,03 – n. d. A.).
Chiss; quante radiazioni ha ricevuto Vladimir. Nel 1987 la misurazione si fa-cevano a pressappoco. I problemi di salute di Vladimir, come la maggior parte dei liquidatori del 1986, sono cominciati subito dopo il suo ritorno dalla Zona. Dopo cinque anni le malattie si sono moltiplicate e aggravate (come tra i liquidatori). Evidentemente dopo cinque anni il corpo umano che ha ricevuti grandi dosi di radiazioni entra in condizioni critiche. I radionuclidi continuano ad attaccare l’organismo e distruggono le cellule debilitando le funzioni vitali.
“Vladimir stoicamente sopportava il terribile mal di testa, il mal di cuore, le influenze continue e i dolori alla schiena. Continu; a lavorate in un’azienda fino a quando, nel 1996, una mano si gonfi; improvvisamente e rimase immobilizzata. Solo allora le fu diagnosticata una malattia incurabile che si chiama “serengobul’boliemia” (cio; distruzione del midollo della colonna vertebrale causata dalle radiazioni).
Ma dal 1996, fino 2005, a Vladimir riconoscevano solo terza categorie di inva-lidit;, cio;, lavorativa. Nonostante le gravissimi condizioni di salute: la parte destra del suo corpo ; disuguale e disubbidiente, la mano immobile divenne pi; piccola, i capelli non crescono pi;, la lingua funziona male e il suo stato generale sia fisico che psicologico era terrificante! “Perch; io? Perch; io?!” chiede disperato nei momenti di depressione».
Il giorno dell’incontro con Nelli, suo marito era ancora in un ospedale fuori citt;.
Per la quinta volta si stava sottoponendo ad una cura radiologica consistente di 15 periodiche applicazioni.
In Ucraina ; in vigore una legge che stabilisce la gratuit; della diagnosi e la cura radiologica per i liquidatori. La legge c’; ma i soldi statali per gli ospedali non ci sono.
Perci;, come dice Nelli, la sua famiglia ; costretta a pagare ogni volta 200 USD. Il pagamento obbligatorio ; denominato dagli ospedali “versamento di beneficenza”.
Che amarezza, e che vergogna!Lo stipendio di Nelli, con il quale lei mantiene la sua famiglia di quattro persone,(3 dei quali malati), ; di 400 grivni (cio;, ; meno di 100 USD – n. d. A.)
«Vladimir soffre tremendamente» continua Nelli. «I medici dapprima dissero che basteranno tre cicli di cure radiologiche per fermare la distruzione del midollo della colonna vertebrale, ma siamo arrivati gi; al quinto. I radiologi adesso dicono: “Se vuoi vivere, devi farlo!” Dopo il terzo ciclo di cure la pelle della schiena e delle spalle divenne tutta nera e si sfogli;. Per mio marito e per i miei figli devo provvedere ad una alimentazione migliore, ma io non ho i mezzi per poterlo fare. Cerco sempre di guadagnare qualche grivna oltre allo stipendio lavorando nei giorni festivi, ma questo non risolve i nostri problemi.
Sopravvivere con le pensioni e le provvidenze che lo Stato concede ai liquidatori vittime di Chernobyl e ai loro figli, ; impossibile. Ad esempio, per gli scolari (non dei figli degli evacuati e dei profughi) in conformit; alla legge, lo Stato concede 3 grivni e 30 kopejki. Fumo negli occhi!
C’; un ultimo provvedimento governativo proprio spietato. Dopo i 18 anni, i figli
delle vittime di Chernobyl rimangono privi di tutte le facilitazioni e gli aiuti statali.
Ma i loro genitori sono caduti in miseria e sono invalidi in fin di vita. E anche la maggior parte di questi ragazzi sono malati sin dalla nascita. Quale futuro pu; dare loro lo Stato e il nostro governo?!»
Non ci sono sulla Terra popoli in assoluto ideali, come non ci sono popoli in assoluto malvagi. Ma nei momenti cruciali della vita, che toccano ogni individuo, viene fuori la propria vera essenza, spesso profondamente nascosta.
La storia dell’umanit; abbonda di esempi di solidariet; e bont;, come ab-bonda di esempi di indifferenza e malignit;.
Assegnando un meritato tributo di eroismo a tutte persone, morti e vivi, chi han-no salvato il mondo dalla catastrofe nucleare di 21 anni fa, non posso non ricordare l’opposta categoria di gente malvagia, la quale, purtroppo, trattarono male in passato, e trattano male ancora oggi, le vittime di Chernobyl.
Dunque, quando gli uni sacrificavano la propria vita per chiudere il reattore esploso e beneficiavano del fondo di Chernobyl per ospitare e curare le vittime, altri si rendevano responsabili di casi spiacevoli. Qualcuno diceva nell’occhi degli evacuati di non volere al proprio fianco dei “contagiati”.
Qualche alta l’autorit;, che sapeva della pericolosit; mortale di Chernobyl, senza spiegazioni ed avvertimenti mandava sul posto ufficiali e dipendenti di basso rango.
Alcune impiegati delle strutture statali che distribuivano le tessere per le vittime di Chernobyl, dimostravano la loro ostilit; e mortificavano i richiedenti. Spesso, senza alcun motivo, rifiutavano le dichiarazioni e perci; molti liquidatori, in particolare le giovani reclute, non ottenevano le tessere, le compensazioni, le pensioni e le provvidenze statali.
Ecco un caso, che testimonia un fatto di insensibilit; e vigliaccheria di una im-piegata statale della mia citt;. Un fatto che coinvolse un liquidatore e che, per fortuna, ebbe un lieto, come ho scoperto lo scorso autunno.
Come gi; detto, durante il viaggio in Ucraina, nella Zona chiusa di Chernobyl, io e D. Riboni avemmo numerosi incontri, conversazioni e riunioni in diverse citt; e villaggi, non solo con gente sconosciuta, ma anche con i mie amici, colleghi e parenti, (alcuni arrivarono da diverse regioni dell’Ucraina e della Russia per incontrarci).
Cosi, attraverso di questi incontri che si tenevano presso associazioni, redazioni, munici, musei, scuole, case editoriali, biblioteche, ristoranti, case private, Riboni imparava a conoscere il mio Paese e la sua societ;.
...
J;r¸menko Nicol;j Iv;novits –
Il marito di un’altra mia cugina, festeggiava il suo giubileo nel periodo della
nostra permanenza nella mia citt;. Quindi ricevetti l’invito per la festa, rifiutare era
impossibile. Trovando un buco di due ore nel nostro intenso programma, Riboni, io ed alcuni miei parenti arrivammo a casa di mia cugina nel bel mezzo della festa.
«E perch; tu hai la voce cosi rauca? Dopo d’Italia soleggiata non ti va pi; il clima dell’Ucraina?» Mi salutarono con appassionata allegria tutti quanti (circa 20 persone), e cominci; ad interrogarmi scherzosamente Nicolaj.
«E tu perch; sei rauco? Anche a te non va il clima di qui? O sei andato a pescare e hai preso l’influenza proprio per il tuo giubileo?!» rispondo, ridendo, con la domanda sulla sua domanda.
«Ma io gi; da diversi anni sono rauco! Tutto ; cominciato dopo Chernobyl.» Si spengono le allegre scintille nei suoi occhi. «Pi; va avanti, pi; ; peggio. Ma io non mollo!» Ride ancora un po’ forzato.
«Questo mi aiuta!» scherza, prendendo una bottiglia dalla tavola apparecchiata.
«Brindiamo alla salute dei nuovi ospiti! Il tuo socio beve la vodka?»
«Sai, che anche noi siamo appena tornati ieri da Chernobyl.» Nonostante la frase pronunciati a mezza voce, tutti i presenti si voltarono verso di me.
«Perch; siete andati di l;?!» svanisce il sorriso dalle labbra di mia cugina. «E’ ancora pericoloso! Guarda Nicola ; sempre malato. E quanta gente ; gi; morta!»
«OK, OK. Non vi preoccupate. Speriamo bene. E tu, Kolja_, quando eri a Chernobyl?» in fretta cambio discorso. «Certo, io sapevo che tu ci eri stato ma non abbiamo mai parlato di questa cosa.»
«Mi hanno preso il 12 agosto 1986.» La voce di Nicola ; cos; rauca e debole che tutti i presenti devono interrompere le proprie conversazioni per ascoltarlo. «Ho lavo-rato di l; fino il 3 settembre 1986.»
«Alla costruzione del Sarcofago?» chiedo, anche se non ho dubbi perch; lui ; un costruttore edile.
«A che cos’altro?!» tace per un istante e aggiunge:
«E dopo nemmeno la tessera di liquidatore volevano darmi. E una cosa alluci-nante! Tu mi hai aiutato ad avere questa benedetta tessera!»
«Che cosa?!» rimango meravigliata.
«Non sai ancora niente?!» ride allegramente Nicolaj. «Invece io ricordo sempre il tuo aiuto e te ne sono grato.»
«Kolja, per carit;!(“Kolja” ; diminutivo del nome Nicolaj).
Tu confondi qualcosa! Si in passato scrissi qualcosa per risolvere qualche problema delle vittime di Chernobyl, ma sicuramente non parlai dei parenti. Sono sicura al cento per cento che la questione della tua tessera non l’ho mai toccata, per cui non merito la tua gratitudine! Hai scambiato persona.»
«E, no! Io ti assicuro che proprio tu mi hai aiutato. Adesso brindiamo all’amicizia tra i popoli e per l’ospite italiano, poi io vi racconter; questa storia. Traduci per lui per che cosa brindiamo.»
«Si, si. All’amicizia!” risponde D. Riboni, seduto a fianco di Nicolay, alzando il bicchiere. «Ieri, mentre ce ne andavamo dalla Zona e facevamo un ultimo controllo con il radiometro, ho saputo che aveva un figlio con un nome russo. O ucraino, come volete. Comunque un nome slavo popolare: F¸dor. Uno dei controllori si chiamava F¸dor e Riboni improvvisamente ricord; il figlio morto per una malattia.»
«Allora anche lui, poverino, ha sofferto.» Commentano a tavola, prestando dop-pia attenzione.
Nicolaj cerca di conversare con Riboni e quando io non riesco a tradurre tutto, loro vivacemente “parlano” con i gesti. Dovendo parlare e tradurre a piena voce in un’atmosfera animata, si sento un pochino affaticata..
«Nicolaj, lascia riposare mia sorella!» ordina la cugina. «Non senti, che ha quasi perso la voce.»
«Anch’io non ho pi; la voce!» risponde Nicolaj. «Ma io vorrei sapere da Dario...»
«No!» esordisce categorica la cugina. «Tu hai promesso di raccontare della tes-sera.»
«Si. E’ vero...» acconsente ubbidiente Nicola chiedendo il silenzio.
«A quei tempi, per ottenere una tessera da liquidatore per le conseguenze di Chernobyl, noi veri liquidatori, dovevamo raccogliere un sacco di documenti nelle numerose istituzioni. E ogni volta, quando io portavo i fogli delle certificazioni in un ufficio municipale, due giovani ragazzi impiegati mi guardavano con malevolenza come fossi andato a casa loro a chiedere l’elemosina. Parlavano sempre con un tono scontento e autoritario, cercavano qualcosa nei documenti che li accontentavano e mi mandavano a rifare quel pezzi di carta. Insomma si comportavano come fossero due dei dell’Olimpo e io un plebeo, polvere sotto i loro piedi.
L’ultima volta che andai in questo ufficio, ancora qualcosa non piaceva loro. Persi la pazienza e l’autocontrollo e li ripresi per i loro metodi burocratici e presuntuosi, per le lunghe code davanti al loro sportello che umiliava la gente, per la considerazione superficiale del nostro operato a Chernobyl (nonostante fossimo stati obbligati ad andare in un inferno nucleare, non scappava nessuno per salvare la propria pelle. Tutti lavoravamo senza sosta), per la concezione del loro dovere, seduti tranquillamente in un comodo ufficio. Pensate che rimasero imbarazzati dopo il mio “monologo”? Niente di simile!»
«Se lei continua a parlare in questo modo, non avr; mai la tessera!» rispose bo-rioso una di loro.
«Ah, ; cosi! Prendetevi pure la mia tessera, forse sarete felici! Pensate che mi metta a mendicare qui, davanti a voi due? Sbagliate ragazzi! Non metter; pi; piede qui! Grazie per la vostra Bont;!» E me ne andai via. Ma in corridoio improvvisamente mi imbattei in te.»
«E si, la redazione del giornale bilingue “Gromads’ka Dumka” (Il pensiero del popolo) dove io lavoravo negli anni novanta si trovava in municipio» confermo.
«Ecco. Tu correvi per i tuoi impegni giornalistici ma ci siamo fermati e abbiamo scambiato qualche parola sulle nostre famiglie. Tu avevi persino notato che ero scon-volto e mi avevi chiesto il perch;. Ma io non volevo lamentarmi e disturbarti, per cui non ho detto niente e ci siamo salutati.
Appena ci siamo lasciati sento che qualcuno mi chiama: “Jar¸menko! Jar¸menko!” Voltandomi vedo una delle impiegate dell’ufficio tessere che corre verso di me: “Andiamo in ufficio, Jar¸menco!”
Appena entrati mi chiede: “Chi ; questa per lei?”
“Non ho capito” le rispondo. “Cosa vuol dire chi ; “questa”?”
“Chi, chi! Quella con la quale ha parlato in corridoio! Zhuravel della redazione!” rispose con stizza. “Chi ; per lei?!”
“Nessuno!” mi viene da ridere. “Solo la sorella di mia moglie.”
Pensa cosa fa l’impiegata? Senza una parola, in un momento, davanti a me, mi ha fatto la tessera e me l’ha consegnata! Ecco, come mi avevi aiutato! Con la tua autorit; nella nostra citt;!» sorride Nicolaj.
«Questa ragazzina ha provato un bello spavento. Il timore le aveva lasciato un’impronta sul viso suo!»
«Oh, mamma mia! Non l’ho sapevo, che io sono cosi mostruosa da spaventare la gente!» la butto sul ridere e l’allegro rumore della festa si rinnova.
...
“La gente, come anche le piante e gli animali, reagiscono diversamente alle radiazioni” disse una volta uno dei miei amici –
Luts;j Anat;lij Sem¸novits.
“Una persona sottoposta al bombardamento dei radionuclidi nel 1986 si era su-bito ammalata gravemente e soffre ancora; la seconda ; morta gi; da tempo; la terza invece ; praticamente sana. Nonostante tutti e tre si trovassero insieme nella Zona, in una tenda, fianco a fianco lavorando nello stesso periodo.
Si vede bene questa diversit; anche tra le piante del Bosco Rosso: alcune sono deformate e deboli, alcune sono secche, ma alcune sono alte, e snelle, e verdi!”
Anat;lij Luts;j ; dirigente di un’organizzazione di volontariato che unisce le
vittime di Chernobyl. L’organizzazione si chiama “SOJUS-CHERNOBYL”.
Non ; l’unica. Dopo la catastrofe furono fondate organizzazioni simili in tutte le citt; ucraine. Ce ne sono alcune anche in Russia e in Bielorussia.
Anatolij ; una persona socievole, volonterosa, onesta e altruistica. Lavora in turno nella miniera e dirige un’unita delle vittime di Chernobyl da pi; di 15 anni.
Naturalmente anche lui ; un liquidatore e ha problemi con la salute ma si aiuta con l’ottimismo e le canzoni. E’ solista in un gruppo di musica leggera e anche in un coro accademico. Proprio lui mi ha aiutato ad organizzare il viaggio a Chernobyl con Riboni e si ; interessato per farmi incontrare con i rappresentanti di una decina di organizza-zioni di “Sojus-Chernobyl” durante le tre settimane della mia permanenza in Ucraina.
I bambini della sua organizzazione sono stati due volte in Italia, a Chiavari. I fondi per questi viaggi e per le cure terapeutica dei bambini, furono raccolti da pri-vati cittadini e da una chiesa cattolica della Liguria. Anatolij ; molto grato per questi viaggi, anche se il legame con la parrocchia italiana si ; interrotto qualche anno fa per mancanza di soldi.
...
Loro sono venuti da me tutti insieme:
Grig;r’ev Vladimir Yur’evits,nato nel 1966,capo della famiglia; con Grig;r’eva Ir;na P;vlovna, sua moglie, e la figlia – dodicenne M;sha.
Era l’ultima serata della mia permanenza nel mio Paese e nella mia citt;.
Avevo perso totalmente la voce (per la prima volta in vita mia!) e il capo del Policlinico locale “Il centro primario delle sanit; e medicina”, Kovp;k Al;na Vlad;mirovna, (Medico con cui collaboriamo per il Progetto di solidariet; “L’ATOMO SELVAGGIO 20 ANNI DOPO), durante il giorno aveva curato la mia gola in modo cos; efficace che alla sera poteva gi; parlare un pochino. Piano, rauca, per; meglio cosi che niente.
La perdita della voce era insolita, strana. Senza l’influenza. Senza la febbre. E questo mi fa pensare che durante il viaggio nella Zona, ricevetti una certa dose di radiazioni. La mia gola, sempre ; molto sensibile, reag; cosi.
...Vladimir Grigor’ev, nel 1986 era una giovane recluta di un’unit; militare a Kiev. Il servizio di leva era quasi finito, lui e tutti suoi commilitoni impazienti aspettavano l’avviso per la solita smobilitazione primaverile.
Ma all’improvviso, nella notte tra il 3 e il 4 maggio arriv; un ordine allarmante:
“In marcia! Immediatamente!” L’ordine era per tutta la compagnia delle mac-chine di stato maggiore, dove Vladimir era in servizio come autista di una generatore elettrico mobile.
«In caserma, ai militari era vietato possedere radioline» racconta Vladimir. «Ma io ho sempre avevo l’hobby proprio per la radio, e spesso gli ufficiali mi
chiedevano di riparare qualche apparecchio. E proprio nei giorni del disastro di Chernobyl ne avevo uno in riparazione ma funzionante. Cos; ho saputo prima delle miei compagni, che alla stazione nucleare era successo qualcosa. Ma una cosa ; senti-re una notizia, un’altra ; capire la sua gravit; reale. Che cosa sapevamo, a quel tempi, della radiazione e delle sue terribili conseguenze? Quasi nulla! E anche se avessimo saputo tutto, che cosa potevamo fare per difenderci? Nulla!!! Ci hanno mandato allo sbaraglio senza alcun avvertimento, senza alcuna spiegazione.»
Il 3-4 maggio 1986 i credenti della chiesa cristiana ortodossa (la chiesa princi-pale nell’ex-Unione Sovietica e oggi nell’Ucraina, Russia, Bielorussia) festeggiavano Pasqua. E mentre le autocolonne militari attraversava i centri abitati in piena notte, la gente tornava dalle chiese.
“Ragazzi, cos’; successo? Dove andate?” chiedeva la gente preoccupata, avvici-nandosi alla colonna di autocarri carichi di soldati.
Nessuno sapeva niente. Nonostante che dall’esplosione e dall’incendio della Centrale nucleare di Chernobyl fossero gi; trascorsi sette giorni. Nonostante che in un ospedale a Mosca fossero gi; in fin di vita i primi irradiati.
Nella tessera militare di Vladimir c’e un’annotazione che attesta la sua presenza a Chernobyl dal 4 maggio 1986. Ma non esistono da nessun parte appunti sul fatto che per 15 giorni i militari del suo Comando non avevano di che nutrirsi.
«All’inizio vennero distribuite, per noi soldati, tre razioni di emergenza giorna-liera» racconta Vladimir.
«Ma all’infuori del pane, tutti i prodotti conservati erano scaduti e in cattivo stato. Cosi, mentre lavoravamo nella zona contaminata, mangiammo per 15 giorni solo pane secco. Adesso dicono che per i liquidatori che entravano ed uscivano dalle zone pi; pericolose, erano organizzati punti di lavaggio, locali per sostituire le uniformi, misurazione della radioattivit;. Forse cos; ; stato pi; tardi, o forse solo per le autorit;. Per il nostro contingente l’uniforme fu cambiata per la prima volta solo dopo una set-timana di lavoro nella Zona.
Le misurazioni si facevano in questo modo: un Maggiore metteva per un atti-mo il dosimetro sugli stivali dei soldati messi in fila e poi scriveva sulle loro tessere una dose media. Ma dopo qualche giorno questo ufficiale disse che l’apparecchio era guasto.»Questi sono i valori riportati sulla
“Tessera delle dose di irradiazione radioattiva” di Vladimir:
Data Dose microraggi x/h Firma del superiore
4. 05. 1986 0, 4
5. 05. 1986 1, 0
6. 05. 1986 1, 5
7. 05. 1986 1, 5
9. 05. 1986 1, 5
10. 05. 1986 1, 5
11. 05. 1986 1, 4
12. 05. 1986 1, 0
13. 05. 1986 0, 3
14. 05. 1986 0, 2
15. 05. 1986 0, 2
16. 05. 1986 0, 3
17. 05. 1986 0, 2
18. 05. 1986 0, 3
19. 05. 1986 0, 2
Nessuna firma dei superiori ; riportata. Io ho visto non solo la tessera di Vladimir ma anche quelle di altri liquidatori. Stessa cosa! Su tutte queste tessere mancava la fir-ma. E i valori delle dosi ricevute, erano quasi sempre uguali a quelli di Vladimir.
Sapendo a quali livelli ; arrivata la radioattivit; il 5 maggio, quando si fuse il nucleo atomico del reattore n°4, sapendo che in quei giorni l’ambiente fu contaminato della radiazione anche di pi; che nei primi giorni dell’esplosione, si capisce che questi valori sono ben lontani dalla verit;.
«Quando mi hanno chiamato per “fare il mio dovere”, cio;, fare il servizio militare obbligatorio, fui sottoposto ad accurate visite mediche. Tutti i dottori della commissione medica mi dissero: “Sano” declinando lentamente questo loro giudizio, racconta Vladimir. “Ma dopo il congedo sono tutto malato. Per colpa di chi sono di-ventato invalido di seconda categoria? Quante dosi di radiazioni ho preso? Lo sa solo Dio! Loro ingannano tutti e su tutto.»
«E anche oggi tutti l’ingannano! Compreso i medici!» entra nella conversazione con tono categorico la moglie di Vladimir, Irina.
“Quando sono cominciati i problemi di salute di mio marito, alcuni dottori si comportarono malissimo con lui. Erano sospettosi, come se lui si inventasse i propri dolori e i propri disturbi! Quando si present; un problema di distonia_ il medico che lo visit; le disse: “E chi oggi non ha la distonia?” (distonia – alterazione del tono muscolare e nervoso).
Se lamentava per il continuo e tremendo mal di testa, il dottore le diceva: “Prendi una pillola”. “La debolezza? Deve alimentarsi meglio e bere i succhi di frutta. Cerchi di non lavorare”.
Ma col tempo il suo stato peggiorava. E poi ; cominciato l’orrore! Una domenica stavamo tutti a tavola per la colazione ma ad un tratto Vladimir si mise le mani nei capelli e cominci; ad urlare:
“Male, male, male!” Poi si alz; dalla sedia e si mise a correre nell’appartamento, continuando ad urlare. Io cercavo di fermarlo e calmarlo, le avevo dato la medicina ma il dolore cresceva sempre e allora chiamai l’ambulanza. Dopo qualche minuto, prima che arrivassero i medici, Vladimir era fuori di se. Io e la bambina ci spaventammo da morire. Poi in un attimo perse i sensi.
L’ambulanza lo port; in ospedale ma anche dopo la cura torn; come prima. Non passo neppure un mese che l’attacco di dolore e di follia arriv; ancora! Adesso le crisi si ripetono sempre pi; spesso.
Quando sentimmo che a Kiev era stato fondato un nuovo Centro Scientifico di Medicina Radiologica, io andai subito all’Organizzazione Nazionale “Sojus-Chernobyl” e, perentoriamente dissi loro: “Non esco da qui, finch; non inviate mio marito liquidatore in questo nuovo Centro a curarsi!”.
Cos’altro potevo fare se per noi non c’era altra via d’uscita?! Sia nella citt; dove abitiamo, che in provincia, non ci sono ospedali ed attrezzature adeguate per le cure alle vittime di Chernobyl. Inoltre, durante la crisi politica e economica in Ucraina, sono stati licenziati tanti medici degli ospedali periferici. In questi pesanti condizioni di vita, noi, donne siamo costrette a lottare contro tutti e tutto per salvare le vite dei nostri cari!
“Sojus-Chernobyl” Nazionale fece ricoverare Vladimir nel Centro Scientifico, e dopo la cura, per un certo periodo lui si sent; un po’ meglio. Ma quest’anno ; stato ancora in ospedale per lungo tempo.
Ultimamente lo Stato dichiara che le cure per alcune vittime di Chernobyl sono gratuite, ma non dispone della copertura finanziaria. Noi dobbiamo pagare tutto da soli con i nostri miserabili redditi. I medicinali e le cure necessarie diventano sempre pi; care, solo per le analisi del sangue per i ormoni ci vogliono 100 grivni, poi le inie-zione, i viaggi, l’alimentazione speciale. Non ce la facciamo.
Mio marito ; stato insignito di due medaglie statali» continua a raccontare con amarezza Irina.
«Una ; denominata “Difensore della Patria”, l’altra “Al Merito”, come liquidatore delle conseguenze causate dall’esplosione della Centrale Nucleare di Chernobyl. Ma questi riconoscimenti non gli portano alcunch; . La sua pensione ; di circa 120 Euro.
E poi, guardate i nostri figli! Tutti soffrono di anemia, sono deboli e malati! Nella nostra citt; c’; un Centro educativo-culturale per i bambini, dove studia anche la nostra M;scha. Quando in questo Centro si svolgono concerti e altri eventi culturali, i nostri figli, i cosiddetti bambini di Chernobyl, sono sempre riconoscibili tra i loro coetanei per la loro pallidezza e debolezza.»
E vero, la dodicenne Mascha rimasta in silenzio, seduta in un angolino per tutta la nostra conversazione, ; magra come uno stelo di giunco. Il visino simpatico ; pallido come un cencio.
«Se ogni tanto i nostri figli possono usufruire di soggiorni in centri di vacanza o colonie, questi posti sono sempre dei decadenti buchi di provincia in condizioni pieto-se. Quest’anno Mascha ; andata in un sanatorio di Kir;llovka sul mare di As;v. Tutti i bambini del turno restarono per tutto il periodo in questa struttura! Rimasero chiusi dentro ai recinti come in prigione. Niente escursioni nei villaggi, niente passeggiate, niente di niente!
L’alimentazione era cos; scarsa, che nostra figlia dimagr; di tre chili in quel ma-ledetto sanatorio. Com’; possibile trattare cosi i nostre figli malati quando non ci sono i genitori al loro fianco?!»
Cosa potevo dire io dopo le amare considerazioni di questa famiglia? Potevo solo costatare, ancora una volta, che anche nel loro caso, ci si trova di fronte alla man-canza di sensibilit;, di carit;, di solidariet; da parte di alcune persone e delle istituzioni.
A questa categoria di individui vorrei ricordare il pensiero di un Grande.
“La gente trasgredisce con leggerezza la Legge pi; grande dell’universo, sulla quale ; basato il nostro mondo: la Legge delle cause e delle conseguenze.
Non esiste sulla Terra nessuna circostanza, anche piccolissima, che non abbia cause e conseguenze le quali, a loro volta, non sono state cause e conseguenze per altre circostanze. Proprio su questa catena di cause e loro conseguenze ; basata la nostra vita; il nostro sviluppo; i nostri successi; i nostri mali e le nostre rovine. Quello che seminiamo, raccogliamo.
Molta gente si comporta come se questa Legge non li toccasse, come se fosse stata creata per altri, e non per loro. Questa categoria di persone continua a macchiarsi di vigliaccherie, malignit;, crudelt;, crimini, ma poi si stupisce che il Mondo non migliora ma, al contrario, peggiora sempre di pi;.”
A. K.
...
...Nell’agosto scorso, durante la definizione della prima parte di questo libro, in russo, lessi su un giornale locale italiano un articolo sull’arrivo in provincia di Pavia di alcuni bambini bielorussi. Vorrei evidenziare cosa avr; capito un lettore che non conosce due Paesi: Bielorussia e Ucraina.
DA CHERNOBYL:
ARRIVANO I BIMBI
Venerdi 3 agosto arrivano 16 bambini di Chernobyl, dagli 8 ai 12 anni, ospiti del
Centro montano di Pietragavina della Fondazione Adolescere. I bimbi bielorussi si
fermeranno fino ai primi di settembre per trascorrere un soggiorno non solo ricreativo e pedagogico ma anche terapeutico: in 30 giorni di assenza dai luoghi dal disastro
nucleare, contaminati dai radionuclidi che ancora oggi sono presenti, la percentuale
di cesio nel sangue pu; diminuire del 50 %. I bambini provengono tutti da famiglie
molto povere che abitano nei villaggi della zona di Cecesk e sono reclutati sul luogo dall’Associazione Help, con sede a Minsk (Minsk – capitale della Repubblica Bielarus’'nota di V.Z.).
Per quando riguarda il versante pavese, il progetto vede la collaborazione della Provincia di Pavia, Regione Lombardia, Comitato per l’Accoglienza dei bambini di Chernobyl, Gruppi Alpini, Comunit; montana e Adolescere. L’Accoglienza a Pietragravina si differenzia dalle altre tipologie di ospitalit;, per il fatto che i bambini trascorreranno un soggiorno collettivo.
Chiara Pelizza
Il settimanale Pavese– n°37 del 2.08.07.
* * *
Si riprenderanno o no?...
“PrIMA DOBBIAMO AIUTArE; solo in seguito possiamo metterci a discutere delle cause di ogni tragedia.”
«LA VERA COMPASSIONE non ; semplicemente una risposta emotiva, ma un fermo impegno basato sulla ragione. Perci;, un atteggiamento sinceramente compassionevole verso gli altri non cambia, anche se essi si comportano male.
Attraverso l’altruismo universale, si sviluppa un senso di responsabilit; verso il prossimo: il desiderio di aiutare supera attivamente i problemi”.
DALAI LAMA
Vedere con l’occhi suoi, non significa capire. Vedere, non significa provare col cuore. Queste affermazioni, ancora una volta, trovarono conferma durante il mio viaggio a Chernobyl nell’autunno del 2006.
“SAPPIAMO CHE intraprendere una guerra nucleare oggi sarebbe una forma di suicidio; inquinare l’aria o gli oceani per conseguire dei vantaggi di breve durata, equivarrebbe a distruggere le basi stesse della nostra sopravvivenza.
Poich; gli individui e le nazioni diventano sempre pi; interdipendenti, non abbiamo altra scelta se non quella di sviluppare ci; che io chiamo il “senso di responsabilit; universale.”
D. L.
Nel caso di Chernobyl ; successo proprio quello che dice il Dalaj Lama nelle citazioni che incorniciano questo libro. Noi, esseri umani, abbiamo avvelenato con le nostre mani tutto ci; che per noi ; una necessit; vitale: l’aria, l’acqua, il suolo.
Abbiamo avvelenato il Mondo con isotopi ad alta radioattivit;, compreso i peri-colosissimi elementi, sintetizzati dell’uomo come il plutonio e l’amerizio. A scopo di lucro, abbiamo avvelenato tutto.
E adesso noi stessi non sappiamo come sopravivere nell’ambiente avvelenato ne sappiamo come eliminare la pericolosit; almeno per il futuro e per i nostri discen-denti. E non “guariti” ancora dal disastro nucleare, ci; non di meno ci rifiutiamo di
parlare e di capire tutto quello che ; successo in Ucraina due decenni fa.
Adottando l’illusione che tutta la zona contaminata ritornasse automaticamente alla normalit;. Autosuggestione ; autodistruzione nel caso di Chernobyl. E i politici che si nascondono dietro le illusioni, che ignorano le situazioni pericolose e minaccio-se, molti delle quali create proprio da loro, hanno una mente pi; limitata di tutti e un cuore pi; insensibile di tutti.
Secondo me non dobbiamo dimenticare, neanche per un attimo l’esplosione di Chernobyl. Non dobbiamo dimenticare che, dal 1986, uscirono dei radionuclidi dal reattore n° 4. Non dobbiamo dimenticare che il cosiddetto “atomo pacifico” ; uscito fuori selvaggiamente e dopo due decenni ancora nessuno sa come mette-re la briglia definitiva per renderlo inoffensivo. Non dobbiamo dimenticare che l’atomo selvaggio continua la strage di vite umane senza piet;.
E non solo non dobbiamo dimenticare, ma dobbiamo cercare, tutti insieme, una via d’uscita. E dobbiamo anche ripetere continuamente che tutto quanto ; successo ; un insegnamento per l’umanit;. Ripetere ai vecchi, che alle nuo-ve generazioni. Ripetere nelle aule dei governi, dei leader politici. Ripetere agli scienziati, agli esploratori, alla gente comune.
...Nel frattempo, a due decenni dallo scoppio del reattore, nessuno ha ancora dato una risposta chiara e definitiva alla domanda: “Perch; c’; stata l’esplosione?” Ho sentito diverse versioni. Due prevalgono su tutte.
La prima versione:
un errore del personale poco qualificato che ha disattivato le pompe del sistema di raffreddamento nell’area attiva del reattore n° 4. Dove, nelle tubazioni, deve circolare almeno 28 tonnellate di acqua all’ora. Se alcune pompe erano disattivate per manutenzione (voci dell’epoca), l’acqua del sistema di raffreddamento non era suf-ficiente e quindi si riscald;, divent; bollente e poi si trasform; in vapore, generando una pressione enorme che port; all’esplosione.
La seconda versione:
un terremoto che avvenne proprio quella notte. Nonostante che in Poles’e non esiste, e non ; mai esistita una stazione sismologica, qualcuno afferm; che il 26 aprile 1986, alle ore 01. 23, ci fu una scossa tellurica a 15 kilometri di distanza dalla stazione nucleare.
Secondo me, la prima versione che identifica nella mancanza di qualificazione dei personale la causa del disastro ; improbabile. Conosco, non per sentito dire, il sistema rigido e severo dell’ex-Unione Sovietico nel campo dell’istruzione e del controllo dei tecnici in servizio, presso apparati tecnologici potenzialmente pericolosi. Per cui non credo che gli operatori non sapessero dell’importanza della pressione e della quantit; dell’acqua indispensabile al sistema di raffreddamento. Quindi non potevano commettere un cosi grave errore di disattivare le pompe. Non lo credo proprio.
Nonostante lo scetticismo di molti, sulla seconda versione, io personalmente la considero la pi; verosimile. Perch; so che la Centrale di Chernobyl ; situata vicino ad una concentrazione di stratificazioni della crosta terrestre. Per cui non si pu; esclude-re la possibilit; di scosse in questo luogo. Certo che queste sono solo mie deduzioni, perch; ancora non si conoscono le conclusioni ufficiali.
Una situazione analoga si pu; presentare in qualsiasi posto dove esistono condi-zioni geologiche simili.
Per esempio, qualche mese fa in Giappone, in una zona geologicamente ricca di strati tettonici, si ; sviluppato un incendio nella pi; grande centrale nucleare del Paese. Ecco alcune informazione diramare dai mass media italiani in proposito:
«Il 16 luglio 2007, alle 10. 13 ora locale dell’isola Honsiju, in Giappone, c’; stato un terremoto di 6,8,gradi della scala Richter. Le scosse si sono sentite anche nella capitale Tokio, situata sul versante opposto dell’isola. Subito sono stati evacuati 1,7 mila abitanti della citt; di Kasivazzaki.
Ci sono 8morti e 830 feriti.
Alle 15. 30 ci sono state altre le scosse di 5,6 gradi Richter. 400 edifici risultano distrutti. Causa il terremoto, sono state spente automaticamente tre Stazioni nucleari situate nel nord-ovest di Giappone. Per;, in una di loro ; scoppiato un incendio che ha causato la fuoruscita di una piccola quantit; d’acqua dal sistema di raffreddamento.
La causa dell’incendio ; stato un corto circuito dell’impianto elettrico. La quantit; dell’acqua dispersa non supera il litro».
Il 16 luglio era un Luned; ed io seguii attentamente le informazioni anche nei giorni successivi.
Marted; i rappresentanti dell’Autorit; governativa giapponese confermarono la quantit; di acqua radioattiva fuoriuscita.
Mercoled; dissero che la quantit; l’acqua era maggiore ma non esisteva comun-que alcun pericolo per l’ambiente.
Gioved; il Governo dispose la fermata della Centrale per un periodo indetermi-nato.
Dal gioved;, ; fino alla fine della settimana, cio; il 22 luglio, i mass media italiani diffusero solo le notizie precedenti. Io non ho pi; letto o ascoltato niente di nuovo.
Come testimonia quanto sopra descritto nessuno al Mondo pu; escludere la possibilit; di avarie, incendi, esplosioni, nelle Centrali nucleari in caso di terre-moto o di altri cataclismi naturali. L’umanit; non ha nessun difesa sicura contro l’atomo “pacifico”, anche se ha a sua disposizione tecnologie moderne e avanzate
come in Giappone.
Alcune Paesi al Mondo preferiscono acquistare l’energia nucleare da terzi, evitando cosi la costruzione di Centrali atomiche sul proprio territorio.
Cosi fa per esempio, Cina.
Anche il popolo italiano, attraverso un Referendum, disse no alle Centrali nucleari. Certo, le radiazione non rispettano ne i confini ne le distanze, ma queste decisioni, ci; non di meno, sono ragionevoli. In particolare se prese da Paesi con un territorio altamente sismico. Mi preoccupa che oggi in Italia qualche Ente governativo ricominci a parlare a favore del nucleare. Ma com’; possibile pensare ad impianti nucleari in una penisola cosi sismica? Devastata continuamente da incendi e inondazioni?!
Se un terzo degli italiani (come afferma la statistica ufficiale) assume stupefa-centi; se persone limitate appiccano gli incendi non capendo che stanno facendo del male a loro stessi; se la morale ; in declino; questo popolo, purtroppo, non ; in grado di capire la pericolosit; mortale delle Centrali nucleari.
Anche se, come dicono le Autorit;, “non c’e pi; tempo per pensarci, si deve costruire”, meglio unire le nostre forze e pensare ad altre fonti energetiche pi; appro-priate, che esistono ma non sono sfruttate. Sappiamo tutti che nei momenti difficili, la mentre dell’uomo lavora pi; intensamente e pu; portare a risultati prima considerati impossibili.
Meglio andare in questa direzione che ripetere i gravi errori degli altri e costruire le Centrali nucleari sugli Appennini.
...Ritornando ancora una volta al viaggio nella Zona di Chernobyl, nove mesi
fa (sto scrivendo queste righe nel luglio 2007) ricostruisco nella mia memoria tutti i
ricordi.
Le nostre guide ci portarono in un Tempio cristiano. L’unico rimasto nella zona spopolata. Nonostante il deserto circostante, il giorno che arrivammo era aperto.
Un vasto e pulito cortile con il prato tagliato, ancora verde. Un sentiero largo con nuovissime mattonelle tra le aiuole ricche di numerosi e multicolori fiori autunnali. Una lieve pendenza del cortile, porta all’ansa tranquilla della fiume Pripiat’.
Il cielo azzurro si spalanca sulla distesa silenziosa.
Proprio una festa per gli occhi e un sollievo per l’anima martoriata dal viaggio nella Zona. Meravigliati dalla bellezza della natura circostante, silenziosamente en-triamo nella chiesa dietro a Serghej.
Dentro ci sono le candele accese. Sprazzi di luce color arcobaleno scivolano
sulla pittura freschissima delle icone dei Santi Cristiani e sugli affreschi. Gli sguardi saggi e tristi dei venerabili raffigurati penetrano nel cuore.
Dappertutto coperte, gli ruscnik, (ruscnik: una striscia di cotone bianco ricamato, lungo d 1,5 a 2 mt ; un elemento del design popolare e antico delle case ucraini. Proprio il ruscn;k ; un simbolo dell’Ucraina. A pari degli italiani che durante l’epoca delle migrazione in America, Germania portavano con se una bandiera italiana, i miei connazionali portano sempre con se all’estero un ruscnik) , salviette ricamati che creano un’atmosfera accogliente e un colorato folclore ucraino. In chiesa c’; una persona solo m;tushka,(m;tushka – la moglie del prete. La religione cristiana ortodossa non vieta ai sacerdoti di sposarsi. Al contrario, ogni priore (abate) dovrebbe essere sposato. Non ci sposano solo i monaci cristiani ortodossi), Liubov Anatol’evna.
«Questa Chiesa esiste da sempre» racconta cordialmente Liuba.(“Liubov” o Liuba ; il nome, “Anatolievna” ; il cognome del padre).
«Si chiama chiesa di San Il’inskaja. Qui conserviamo le reliquie eterne di tre Santi: Serafino Sarovskij, Agapij Pecerskij e Fiodor Cernigovskij.»
«E lei qui ; sempre sola?» chiede D. Riboni.
Traduco la domanda e la matushka sorride:
«No. Con il prete, padre Nikolaj, mio marito. Ma lui oggi ; fuori dalla Zona, per affari. Ogni tanto viene qualcuno: gli anziani chi sono tornati nelle loro case, nono-stante il divieto dell’autorit;, il personale della zona, i turisti.»
«Non mi aspettavo di trovare qui un Tempio cosi bello e ordinato.» Confido a Liuba. «Dal cortile, pensavo che dentro fosse tutto vecchio, scolorito, trasandato. Al pari di tutto ci; che abbiamo visto oggi nei quartieri di Pripiat’ e di Chernobyl. Questa chiesa ; sorprendente!»
«Due anni fa abbiamo restaurato il nostro Tempio.» Si vede che Liuba ; rimasta contenta della mia reazione.
«E quando riparammo l’ingresso, trovammo sotto il ter-razzino questo busto.» Continua indicando un punto di fianco all’altare, dove solo in quel momento notiamo un busto color argento su un piedestallo.
Un busto straordinariamente somigliante all’ultimo Imperatore della Russia
Nikolaj II, massacrato con tutta la famiglia, dopo la rivoluzione del 1917. «E’ Nicolaj Secondo?!» esclamo rivolgendomi a Liuba, mentre tutti si avviciniamo e Riboni mette in funzione la sua videocamera.
«Il busto ; stato scoperto con la faccia in gi;» risponde con esitazione Liuba.
«Era tutto sporco di fango. Chiss; da quanti anni era in questi condizioni e chiss; chi l’aveva nascosto qui. Quando lo abbiamo pulito, anche noi notammo che aveva una grande somiglianza con lo Zar Nikolaj II, e decidemmo che era proprio lui. Ma pi; tardi vennero gli specialisti da Kiev e ci dissero che la scultura non raffigura Nikolaj ma un altro zar. Alessandro II. Zar dello trono russo.»
La voce della m;tushka ; dolce e cordiale, la lingua ucraina (sentita la prima volta in questo giorno perch; tutti gli altri interlocutori parlavano russo) ha un accento diverso.
«Lei ; bielorussa?» chiedo.
«No. Perch;?»
«Noto un accento diverso. Non ; russo.»
«Davvero?!» ride. «E’ la prima volta che mi dicono questa cosa in vita mia. No sono ucraina. Tutte le mie radici sono qui! E se ho un accento, significa che questo ; l’accento dei nativi della Polissia! Io e padre Nikolaj ci siamo sposati proprio qui, in questo Tempio.»
«Non ci sono radiazioni in chiesa.» Interrompe il nostro discorso Serghej Cernov.
«Da quando siamo entrati continuo a monitorare. Sono sempre nella norma!»
«Dio ; il nostro custode e ci difende.» Si fa il segno della croce la matushka.
Anche tutti noi ci facciamo il segno della croce, prendiamo le candele e le accen-diamo in memoria a tutte le vittime di Chernobyl.
Rimaniamo qualche minuto in silenzio e quindi ci congediamo da Liuba.
«La gente va a pescare nell’insenatura del fiume vicino alla chiesa, dicendo che il pesce qui non ; contaminato e che si pu; mangiare tranquillamente.» Commenta Serghej, quando, uscendo fuori, scendiamo ancora per qualche minuto sulla riva.
«Non ci credo, Sergej. Ho letto una volta che tutto il pesce delle acquee della Zona, ; ancora radioattivo. Nella carne dei pesci predatori si accumulano i radionuclidi del cesio. Invece nei pesci che si nutrono solo di erbe, si accumula prevalentemente lo stronzio. E poi, proprio nei pesci, gli scienziati hanno riscontrato dei cambiamenti genetici. Anche se attualmente questi cambiamenti non hanno causato il mutamento esterno del loro aspetto, sono presenti. Senza “ma” e senza “no”.
Basterebbe pensarci un po’ per capire queste cose. Per esempio, il pesce carassio, (Il carassio ; un pesce d’acqua dolce, ; molto amato degli ucraini. Un piatto “Carassio con la panna” ; un piatto antico e molto diffuso non solo tra ucraini ma anche tra l’altri popoli slavi), si ciba di piccoli organismi che si trovano sul fondo, e smuove il terreno per cercarli. Proprio dove si sono accumulati i radionuclidi caduti nell’acqua e sui terreni».
D’altronde nella Zona non si magia solo la pesce. Si mangia la frutta e la verdura coltivata nei terreni della zona. Si mangia la carne, il latte, i formaggi. Provenienti dagli animali allevati nella zona...
Chi mangia questa roba?
La gente, denominata “samos¸li”. (una parola diffusa in Ucraina dopo Chernobyl.) Sono chiamate cos; le persone venute ad abitare nella Zona di loro inizia-tiva, non rispettando le disposizioni e leggi in vigore. Queste persone ufficialmente non esistono.
Sono i contadini evacuati una settimana dopo l’esplosione. A differenza dei citta-dini di Pripiat’ e di Chernobyl, evacuati secondo giorno. Se per i cittadini fu detto che dovevano allontanarsi solo per tre giorni, perci; non serviva portare con se tanta roba, per i contadini invece fu annunciato: per tre mesi. Ma quando questo tempo scadde e il permesso di tornare a casa non ; arriv;, la gente cominci; a rientrare di nascosto: a cercare il loro bestiame abbandonato, a prendere qualche roba, a prendere il vestiario invernale.
Non volevano assolutamente capire che tutte le loro cose erano state avvelenate dai radionuclidi e molto pericolose. I poliziotti, gli agenti della sicurezza, le autorit; della zona, lottarono per anni contro la volont; dei contadini di riprendersi la loro roba, ma tutto fu inutile. Essi continuarono a ritornare nelle loro case per recuperare quel poco che avevano.
Poi, 10-15 anni dopo, i contadini cominciarono a tornare a vivere nei villaggi spopolati. Prima tornarono gli anziani proprietari delle case, poi, pian piano, tutti quanti. Nel frattempo, dopo tante battaglie in Parlamento, il governo approv; una legge (fra le tanti) che proibiva alle persone di media et;, ai giovani e ai bambini, di tornare a vivere nella Zona
Contemporaneamente, in alcuni villaggi spopolati, arrivarono vagabondi, barbo-ni ed ubriaconi rimasti senza tetto. Tutta questa gente venne definita samos¸li. Ma per alcuni di loro questa denominazione ; offensiva.
“Mi mancava l’aria nel posto estraneo dove ero stata portata contro la mia vo-lont;” raccontava una delle intervistate, nonnina Maria, come la chiamano tutti. “E‘ oltraggioso sentirsi definire “samos¸li”. Non siamo tornati nella “terra di nessuno”, come la chiamano adesso, ma nella nostra terra natia. La terra dei nostri avi!”.
Nessuno sa quanti samos¸li ci sono nella Zona, perch; ci sono anche i clande-stini. Mi ; stata indicata la cifra di 320 persone. Circa 100 abitano a Chernobyl. Il pi; giovane samos¸l registrato ; un uomo di 49 anni. Ci sono villaggi con solo 2 – 4 abitanti, ma ce ne sono anche altri con decine di persone.
Lo Stato, che prima lottava contro di loro si ; rassegnato e ha cominciato a prendersene cura. In alcune villaggi ha riattivato l’elettricit;, due volta la settimana portano il pane e gli altri generi necessari, una volta al mese passa il medico e viene istituito un servizio di l’autobus per andare al mercato fuori dalla Zona. L’autobus ; al servizio dei samos¸li anche in occasione delle feste religiose.
L’elettricit; e il telefono ci sono solo nei villaggi pi; popolati. Da qualche anno i
samos¸li ne usufruiscono gratuitamente. Ma adesso, come mi raccontano con discre
zione gli intervistati, “girano voci che la rete elettrica locale sarebbe stata privatizzata recentemente da una societ; tedesca” di conseguenze loro saranno costretti a pagare il 50% della fornitura elettrica.
“Possibile che questo tedesco riccone, se ; vero che sar; lui gestore della rete, non pu; cavarsela senza i nostri miserabili centesimi?! Siamo tutti anziani, viviamo in condizioni estreme, moriamo come le cavallette, eppure dovremo dare a lui una parte delle nostre pensioni “grobovie”!(“Grobovie”una parola del dialetto popolare. Sono le pensioni che paga lo Stato, sono cosi misere, che bastano solo per una bara ma non per la vita).
Vorrebbe dire farci morire anche di fame. Dove sta guardando il nostro Presidente?!” esclama amareggiato l’intervistato.
Il Presidente dell’Ucraina Viktor Yuscenco visit; la Zona nel 2005. Con lui arri-varono 90 tonnellate di generi alimentari per la gente che lavora e abita l;.
Gli americani, durante una loro visita, portarono aiuti, raccolti in America delle organizzazioni umanitarie.
Certo, qualsiasi aiuto per gli bisognosi ; prezioso. Ma un aiuto una tantum, sia dal di dentro, che dal di fuori, anche se grandissimo, non risolve i problemi di Chernobyl e le sue vittime. Come non lo hanno risolto, in pi; di due decenni, tutte quelle com-pensazioni e pensioni, causa il grande numero di vittime, per lo Stato diventa un peso gigantesco, ma per le vittime e le loro famiglie, come testimoniano gli intervisti, e sempre ; insufficiente. Oggi bisogna cercare altre strade e metodi nuovi pi; efficaci per raggiungere un buon risultato.
Non serve un impegno saltuario e spontaneo, dettato dei sentimenti, ma un lavoro sistematico, continuativo, che operi su una vasta gamma di elementi, sia per quanto riguarda il Sarcofago e tutta Centrale, sia per quanto riguarda le vittime, il suolo, i bacini acquiferi.
Sono necessarie aperture al rispetto dei diritti dell’uomo, come dichiara e garantisce la nuova COSTITUZIONE dell’UCRAINA, entrata in vigore nel 1996.
I principi di questa Costituzione di uno Stato indipendente, riconoscono l’Uomo, come un valore sociale prevalente sullo Stato. Ma le finalit; di buone Leggi e buone norme non biso-gna solo dichiararle ma anche realizzarle. Per cui ; necessario programmare, costruire e sviluppare le strutture mediche specializzate per le vittime di Chernoby, non solo nella capitale ma anche nelle periferie del Paese.
Per testimoniare ancora una volta che il problema di Chernobyl esiste ancora ed
; ancora acuto, ho tradotto in italiano un’informazione pubblicata nell’agosto 2007 dai
giornali ucraini.
“D’ORA IN POI L’ESPORTAZIONE DI PRODOTTI DALLA ZONA DI CHERNOBYL PUO’ ESSSERE
PUNITA CON SETTE ANNI DI CARCERE”
In Ucraina ; entrata in vigore una Legge, che introdurre le responsabilit; pi; severe per l’esportazione non regolamentata dalla zona di Chernobyl di prodotti, materiali edili e altri articoli, che possono essere pericolosi causa le radiazioni cui sono stati sottoposti. Questa decisione ; stata annunciata dal Ministro dell’Emergenza dell’Ucraina, N;stor Schufric durante un briefing con i giornalisti.
“Dall’inizio del 2007,” ha detto il ministro, “si sono registrati 239 casi di esportazione illegittima. La morbidezza delle punizioni ha portato a massicce violazioni del divieto” sottolineato N. Schufric.
Adesso per i trasgressori delle norme di sicurezza nucleare e della suddetta Legge, sono previste gli punizioni pi; serie:
- multe dal 20 al 100% dei redditi minimali di trasgressori;
- il sequestro degli autoveicoli con i quali tentava l’esportazione di prodotti alimentari o industriali;
- la detenzione dai 2 al 7 anni, secondo l’illecito commesso.
...
Una decisione e una legge proprio necessarie in questi tempi inquietanti. Qualche mesi fa ho letto su un periodico un’altra frase molto incoraggiante:
«Il Segretario Generale del Organizzazione delle Nazioni Uniti PAN GI MUN ha invitato tutti a rinnovare l’aiuto internazionale per le regioni colpite dal disastro nucleare di Chernobyl».
Vorrei sperare che questo avvenga.
Che questi propositi saranno realizzati e che l’aiuto arriver; per malati che ancora oggi soffrono, per i terreni abbandonati, per l’acqua avvelenata.
Vorrei tanto sperare che l’aiuto internazionale risolver; anche la questione
di rifugio-sarcofago.
Cio; la costruzione di un altro rifugio pi; sicuro sopra il sarcofago decrepito, che ir-radia i radionuclidi nell’ambiente circostante e che nasconde anche un altro pericolo crescente.I muri lesionati dello scoppio nel 1986, col passare del tempo sono sempre pi; in-sicuri e una parte semidistrutta dell’edificio incombe sul reattore e su tonnellate e tonnellate di polvere radioattiva accumulata durante due decenni.
Immaginate cosa succeder; se i muri semidistrutti crolleranno in questa polvere?
Il progetto di un nuovo rifugio ; stato realizzato ed approvato da tempo. Ma
fino a settembre 2007 mancavano sempre i soldi per cominciare la costruzione. Ma il
processo anche oggi avanza troppo lentamente. Nel frattempo la situazione nella Zona ; sempre pi; acuta. E’ ora di cominciare. Immediatamente!!!
Sono convinta che nel mondo c’; una quantit; di gente cui fa male la ferita ancora aperta di Chernobyl. Molti sarebbero pronti a prestare aiuto in questa direzione, ma non sanno dove e con chi cominciare. Non lo sanno, perch; mancano informazioni ufficiali, chiare, vere, oneste. Non si deve temere che la gente non capir;, non si deve chiamare tutto ci; “allarmismo”.
A parer mio, i Ministeri dell’Emergenza e della Protezione Civile di tutti e tre i Paesi colpiti: Federazione Russa, Repubblica Bielorussa e Ucraina, dovranno ur-gentemente prendere un’iniziativa umanitaria, coinvolgendo anche il mondo del volontariato. Un mondo, che da sempre ha moltissime idee costruttive, ha l’energia creativa e tanta voglia di lavorare a vantaggio degli altri. Deve prendere finalmente in considerazione che ogni movimento di masse popolari, inizia sempre dall’idea di una
singola persona. Per il bene di tutti, oggi si devono unificare le idee e le iniziative e impegnarsi al massimo per risolvere i numerosi problemi di Chernobyl.
C’; bisogno che tutti, su scala mondiale, sentano la responsabilit; e smettano di pensare a Chernobyl come fosse un problema della sola Ucraina.
C’; bisogno che il governo dell’Ucraina la smetta di essere muto come un pesce. Non si pu; andare avanti cosi. Non si pu; far passare sotto silenzio i problemi reali e crescenti, che possono comportare ancora gravissimi conseguenze.
Non bisogna seguire il cattivo l’esempio del governo dell’ex-Unione Sovietica (CHERNOBYL), e del governo della Federazione Russa (KURSK). Il sottomarino pi; grande nella flotta russa, dove erano installati reattori nucleari analoghi a quelli di Chernobyl.
Indimenticabile quel momento dell’Agosto 2000, quando arriv; la notizia dello scoppio sul sottomarino. Indimenticabili anche i giorni di ansia, quando tutto il mon-do con fiato sospeso seguiva lo svolgimento del tragico avvenimento in mare.
Tutti erano pronti a dare una mano per salvare i militari prigionieri sul Kursk. I
Paesi e i governi aspettavano una chiamata, una parola per partecipare al salvataggio,
ma gli ammiragli della flotta e l’autorit; russa prima rimasero in silenzio, poi rifiuta
rono le proposte di aiuto, poi, mentendo, dichiararono che era impossibile tirar su il sottomarino... Questo comportamento ; stato letale per tutto l’equipaggio.
Il mondo rabbrivid;. E anche dopo rimase sconcertato e annichilito quando venne a conoscenza delle poche righe disuguali scritte dai marinai in fine di vita:
“CI HANNO AMMAZZATO”.
Non ; il caso di toccare qui l’argomento della causa dell’esplosione sul “Kursk”. Voglio solo sottolineare che, secondo l’Occidente, la storia di questo esplosione, pote-va portare ad orribili conseguenze: una guerra atomica mondiale.
“Il Mondo non fu mai cosi vicino ad una guerra nucleare”, affermarono in passato ed affermano ancora oggi gli osservatori politici dell’Occidente.
.........................
“LO STATO E’ IL PADRE PER TUTTI E NON DOVREBBE DI UCCIDERE I FIGLIE SUOI”
ha detto una volta un semplice uomo italiano di Pavia: Giovanni Micali.
Voglio aggiungere: non dovrebbe uccidere non solo attraverso azioni avventate ma anche attraverso l’immobilismo e l’assurda congiura del silenzio.
* * *
5 X 1000
Riguardo un aiuto umanitario materiale per le vittime di Chernobyl da parte dei miei connazionali che lavorano attualmente in Italia, e che spesso si rammaricano di non aver la possibilit; di dare qualcosa per gli altri perch; devono mantenere le pro-prie famiglie in Ucraina, caduta in declino economico, sociale, culturale e politico, voglio informare tutti quanti che c’; un modo per dare una mano ai bisognosi senza svuotare il portafoglio.
L’anno scorso, ; entrata in vigore in Italia un provvedimento che si chiama
“5% x 1. 000”. Adesso qualsiasi persona che lavora legalmente in Italia e paga le tasse, pu; destinare 5. 00 ª di ogni 1000 che paga di tasse, per un’organizzazione o un’associazione di volontariato, registrata ufficialmente in questo Paese. Al donatore non coster; nulla in pi;.
Nel nostro caso concreto, se voi, cari lettori, destinate il vostro 5% per mille all’Associazione culturale Italo-Slava “IL VOLO DELLA GRU”, iscritta nel registro provinciale della Provincia di Pavia (Italia), che sta raccogliendo mezzi e materiali per le vittime di Chernobyl, voi aiutate concretamente una persona concreta e con-tribuite alla creazione di un Centro Medico Specializzato nell’ambito del Progetto Internazionale di solidariet; “L’ATOMO SELVAGGIO 20 ANNI DOPO...” (i partico-lari li troverete pi; avanti in questo libro).
Ho notato, che non conoscono le modalit; di donazione del “5 x 1 000” non solo ucraini, russi, bielorussi, moldavi, romeni, polacchi, bulgari, ma anche molti italiani. Ma ; una cosa semplicissima da fare. Basta indicare sulla propria dichiarazione dei redditi il codice fiscale dell’organizzazione cui si vuole destinare il 5x1000 delle pro-prie tasse, e il gioco ; fatto.
Se leggendo queste righe qualcuno decide di dare il “5x1000” all’Associazione sopraindicata, pu; usare queste coordinate:
ASSOCIAZIONE CULTURALE ITALO/SLAVA“IL VOLO DELLA GRU”C.F. 94022550183
Cari lettori, date questo recapito al vostro commercialista.
Tanto per cominciare, nel 2007 io ho gi; provveduto a destinare il 5x1000 all’Associazione "IL VOLO DELLA GRU". Lo stesso ha fatto anche la mia figlia.
Per altre donazioni potete utilizzare le seguenti coordinate:
C/C ¹ 000030809675
CAB: 23000 ABI: 06230
Presso Cariparma Piacenza e Vigevano (ITALIA)
“L’ATOMO SELVAGGIO 20 ANNI DOPO...”
..............
In conclusione vorrei ripetere ancora una volta: l’Uomo non ; un’isola, come ha detto uno scrittore italiano. Tutti noi siamo nella stessa, piccola e vulnerabile, barca. E se oggi, senza indugi riuniamo le nostre idee per il bene del Mondo e dell’Universo; se riuniamo le nostre capacit; mentali ed intellettuali, i nostri mezzi materiali e tecnici, aiuteremo l’Ucraina:
- a costruire un nuovo Rifugio-Sarcofago;
- a bonificare l’ambiente;
- a mettere al sicuro le scorie radioattive;
- a creare i Centri Medici Specializzati per curare le vittime del disastro nucleare anche nelle province,
aiutiamoli sia nell’ambito spirituale che materiale, eliminando una minaccia universale per tutti e tutto.
Una minaccia dell’atomo selvaggio, nient’affatto “pacifico”, ora pi; o meno nascosto sotto il Sarcofago decrepito.
* * *
(Continua...)
Ñâèäåòåëüñòâî î ïóáëèêàöèè ¹208112300322